Strappi. Tra violenza e indifferenza

Strappi. Tra violenza e indifferenza

Mostra fotografica “Strappi. Tra violenza e indifferenza”, Mastio della Cittadella

Torino – Corso G. Ferraris – Apertura dal lunedì alla Domenica dalle 10 alle 19, ingresso libero

 di Nicola F. Pomponio

TORINO – Si è inaugurata a Torino venerdì 26 novembre, presso il Mastio della Cittadella, la mostra fotografica “Strappi. Tra violenza e indifferenza” curata da Tiziana Bonomo. La mostra, aperta fino al 16 gennaio 2022, si avvale del patrocinio e contributo della Regione Piemonte ed è la prima iniziativa per i festeggiamenti del centenario della nascita dell’Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia.

Mastio della cittadella

Questa bella esposizione, realizzata grazie anche alla collaborazione di Domenico Quirico, corrispondente di guerra de “La Stampa”, è un percorso dove dieci fotoreporter documentano la violenza degli uomini nelle sue diverse manifestazioni. Nella sua illuminante presentazione, Tiziana Bonomo sottolinea che questi reportage sono il frutto di mesi, talvolta anni, di lavoro, in cui i fotoreporter condividono la quotidianità che ritraggono vivendo in prima persona i drammi che fotografano.

Le immagini sono di grande impatto visivo e psicologico. Non tanto per una spettacolarizzazione della violenza, come alcuni mezzi di comunicazione ci hanno purtroppo abituati, quanto per l’evocazione delle conseguenze della violenza stessa. Violenza nel senso più ampio del termine: etnica, politica, sulle donne e i bambini, come anelli più deboli su cui la barbarie può scatenarsi. A seconda delle diverse prospettive degli autori, le fotografie pongono i visitatori davanti a domande cui spesso si preferisce non soffermarsi.

Mostra fotografica “Strappi. Tra violenza e indifferenza”

Una macchia di sangue basta a ricordare che lì un uomo è morto, o immagini di una quotidianità talvolta banale, come può essere il cucinare, acquistano immediatamente un altro significato leggendo la didascalia in cui si specifica che le donne ritratte sono militari (tenenti o capitani) che, dopo aver subito violenza e aver visto i propri cari uccisi, si sono ribellate e unite a gruppi paramilitari. Dietro ogni volto o immagine compare una storia di sofferenza atroce che talvolta fatichiamo anche solo ad immaginare.

Storie che si snodano con martellante, disumana, orribile ripetitività negli angoli più diversi del mondo in cui la ferocia si manifesta attraverso guerre e repressioni. Da un lato vengono così evidenziati conflitti dimenticati o posti in second’ordine, dall’altro, giustamente, non si limita l’analisi alle guerre ma si sottolinea come la sopraffazione si scateni anche in società che non vivono né aggressioni dall’esterno né rivolte interne.

Gli “Strappi” del corretto titolo rappresentano proprio le lacerazioni fisiche e psichiche di uomini e donne, travolti da una belluinità talvolta insensata, quasi un innominabile mostro che cova negli uomini e sempre pronto a scatenarsi.

In ciò sta un aspetto decisamente interessante: le immagini costringono a riflettere e a prendere posizione. Se nelle molte guerre rappresentate torna alla mente il grido lanciato esattamente un anno fa da Papa Francesco sul fatto che “stiamo vivendo la Terza Guerra mondiale a pezzi”, nelle storie “private” emerge la brutalità delle istituzioni che dovrebbero proteggere i cittadini e dei singoli che, nella loro malvagità, arrecano solo dolore ai propri simili.

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E’ quindi una mostra non solo interessante, non solo consigliabile, ma che andrebbe vista più volte; per poter riflettere e interrogarsi su quel gran “mattatoio” che talvolta è la storia; e le dolorose conseguenze sono, purtroppo, sempre uguali e, purtroppo, sempre sui più deboli.

Ogni fotoreporter usa, ovviamente, la sua propria sensibilità filtrata dal suo specifico linguaggio; e ciò arricchisce il tutto palesando i diversi aspetti e le diverse situazioni cui gli “strappi” fanno sprofondare gli individui costringendoli o a esodi di dimensioni, ormai, superiori a quello biblico o alla rivolta militante o alla protesta pacifica.

Una mostra da visitarsi e da prendersi come punto di partenza per un percorso interiore in cui ognuno di noi abbia il coraggio di guardare l’orrore; e cercare di tenergli testa per capire, soffrire, aiutare cogliendo l’occasione non per voltare lo sguardo. Ma, come suggerisce Tiziana Bonomo, per “andare avanti”. L’ottimo lavoro svolto da Tiziana Bonomo e Domenico Quirico, le cui annotazioni fanno quasi da contrappunto alle immagini, si affianca al coraggio dei fotoreporter che hanno lavorato, talvolta in condizioni estreme, nelle diverse realtà rappresentate:

Alfredo Bosco (Messico), Chloe Sharrock (Siria) Ivo Saglietti (Bosnia), Karl Mancini (Argentina), Mattia Velati (Yemen), Derek Hudson (Rep. Democratica del Congo), Francesca Tosarelli (Rep. Democratica del Congo), Laura Secci (Afghanistan), Roberto Travan (Nagorno Karabakh), Fabio Polese (Myanmar).

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