Pieter Brueghel– detto IL VECCHIO, è stato un pittore e incisore di origine olandese. “Vecchio” è l’indicazione attribuitagli nel corso della storia per essere distinto dai suoi due figli che, fedelmente, seguono le orme del padre. Considerato come uno dei maestri indiscussi dell’arte fiamminga del ‘500, proprio per le sue doti artistiche e le sue rappresentazioni, sarà annoverato nella storia dell’Arte come “il buffo pittore”.
Brueghel (il Vecchio) nacque nella provincia del Brabante (a Breda, Paesi Bassi – 1525 circa) e durante la sua carriera mostrò al mondo il suo interessamento per diverse fasi artistiche tra cui, in primis, l’arte fiamminga, (influenzato anche dal pittore H. Bosch), dalla quale trasse la sua massima aspirazione.
Inizialmente si dedicò a una serie di paesaggi, reali o fantastici, che molto probabilmente furono il frutto anche dei suoi viaggi.
Di ritorno da un pellegrinaggio in Italia, infatti, durante il quale esegue disegni di vedute di città del meridione ed è affascinato dagli spettacoli naturali delle Alpi, lavorerà a un’importante raccolta di incisioni detta “dei grandi paesaggi” – pubblicata nel 1555; la sede dell’opera, che lo vedrà collaborare con Hyeronimus Cock, sarà a Bruxelles.
Tuttavia, la tradizione del paesaggio nordico, trova compiuta e matura affermazione, soprattutto nelle raffigurazioni dei “mesi” dipinta intorno al 1565.
Il Buffo pittore dell’Arte, Pieter Brueghel- detto IL VECCHIO
Con “I cacciatori della Neve ; la Giornata buia; la Mietitura; il ritorno della Mandria Pieter Bruegel da l’espressione a un sentimento della natura insieme epico, grandioso intimamente legato alla vita e al lavoro umano, che diviene punto di riferimento fondamentale per ogni successivo sviluppo della rappresentazione paesistica.
Le innovazioni che si determinano a nord delle Alpi, non restano naturalmente prive di risonanza sull’attività degli Artisti della penisola; modificando e arricchendo in particolare le esperienze già molto vivaci dei pittori veneti dal San Gerolamo penitente di Lorenzo Lotto nel museo del Louvre; a Tiziano e alle tele di Jacopo Tintoretto per la sala inferiore della scuola di San Rocco.
Brueghel, iniziò a lavorare sin da giovanissimo, ed entrò a far parte dei pittori di Aversa nel 1551, alle dipendenze dell’architetto e grande disegnatore di arazzi, Pieter Coecke Van Aelst (che oltretutto fu mercante di stampe e pittore), ma soprattutto fu un grande studioso.
Il “Vecchio”, dal canto suo, seguendo il naturale trasporto e le orme dei suoi maestri, iniziò a viaggiare tra Francia e Italia. Soggiornando anche a Roma e in Sicilia.
Le Origini
Malgrado non ci siano a tutt’oggi fonti certe sul pittore, esiste una Biografia piuttosto lodativa di Karel Van Mander del 1604, che fu sostenitore accanito dell’artista e che narrò le sue virtù, rilevandone alcuni aspetti singolari; come il fatto, ad esempio, che lo additassero come un personaggio dalle origini contadine – con forte allusione all’essere un ignorante insomma – e che, al contrario, fu un uomo di grande cultura essendo stato in contatto con alcuni degli individui più eruditi del tempo. E inoltre, raccontava di come lo stesso paesaggista, si travestisse spesso da contadino per poter osservare i festeggiamenti della vita rurale da vicino … come a volersi calare nella parte!
Prima di tutto questo, un fattore degno di nota, che spinse l’artista a tali personali concezioni fu l’influenza di personaggi come Albrecht Dürer, Jorg Breu, Albrecht Altdorfer e Joachim Patinier, che iniziarono a concepire l’arte traendo ispirazione dai resoconti di viaggi, dove spiccheranno ad esempio, le nuove merci, o i tesori condotti in Europa dal “nuovo mondo”; oppure dai Paesi con i quali s’istituivano nuovi contatti e linee di comunicazione; le stesse che alimentano la conoscenza di diversi ambienti naturali e di altre razze umane.
Ma soprattutto di nuove culture che insieme, colpiscono l’immaginario collettivo; e ancora la percezione esperita e fantastica di un mondo più vasto e vario di quello fino ad allora conosciuto. Tutto ciò, innesca un mutamento che va a modificare e sviluppare la visione della natura.
L’universo della natura
Principalmente si evince il modo di vedere e di rappresentare ogni cosa. Dai microcosmi straordinari in cui sembra stamparsi l’immagine del globo, con cieli, mare, montagne, città; a una consapevolezza nuova di quella che è la reale vastità è la varietà di tutto quanto il mondo. S’innesca, a questo punto, una sorta di reazione a catena, che porta a un’attenzione verso i fenomeni naturali e la loro dissimile rappresentazione.
Nei disegni, nelle pitture o incisioni, è concepita la natura stessa nella sua essenza più pura; colta nei suoi aspetti più aspri e selvaggi. Essa diventa la protagonista assoluta della rappresentazione. Capovolgendo il rapporto tradizionale. Ora i paesi e i personaggi, appaiono di dimensioni ridotte e immersi nell’ambiente naturale che sovente assume connotazioni misteriose; a volte inquietanti. E che sono sovrastati dallo stesso.
Brueghel nella sua grandiosa rappresentazione cosmologica si afferma come interprete di questo piccolo grande mondo.
Parabola dei ciechi
Questa sua grande cultura, riversata nelle opere maggiori, la troviamo ad esempio nella serie dei quadri delle “Parabole”. Si pone l’accento su “la parabola del cieco che guida il cieco – 1568”. In quest’opera Pieter Brueghel volle sottolineare la forte critica nei confronti delle guerre di religione. Nello specifico, il conflitto che c’era all’epoca, tra Cattolicesimo e Protestantesimo. Scontri che stavano lacerando la sua patria, mettendo in risalto che entrambi “i ciechi” – cioè le due correnti religiose – si stavano allontanando dalla chiesa.
In maniera simile, bisogna citare, come sovente i suoi quadri fossero “allegorie morali”, in cui le azioni della gente di campagna simboleggiavano una varietà di peccati e di follie.
Questa caratteristica, permise a Brueghel di mostrare la vita quotidiana dei braccianti; stimolo che servì a molti artisti nord europei attraverso i secoli, in modo da attingere continuamente fonte d’ispirazione dalla vita campestre. Non a caso, Già nel XVIII secolo, nella pittura c’era una forte prevalenza dell’ideale pastorale come una sorta di potere rigeneratore. Un aneddoto riporta come, eleganti signore, scelsero di posare nel proprio ritratto con abiti contadini, come delle pastorelle o delle lattaie.
Eppure, uno degli scopi principali di Brueghel, era quello di “fotografare” con minuziosità di dettagli, il paesaggio stesso.
In seguito, sulla soglia del XIX secolo, gli artisti, si ritrovarono maggiormente interessati alla natura e, nello stesso tempo, a un’immagine di povertà; volgendo la loro attenzione alla campagna, perché il vero e unico obiettivo – dato realistico – doveva essere quello di ritrarre la schietta realtà.
Gli spaccapietre
In Francia, artisti di rilievo come Gustave Courbet di cui tutti ricordano gli “Gli spaccapietre” – olio su tela del 1849 – si arguisce questo concetto rivalutato. L’opera, infatti, è quella che – secondo i critici – meglio concretizza l’idea del pittore fiammingo; ovvero di una vita contadina dura, cruda, amara a tal punto da togliere l’identità all’individuo. Ma soprattutto, da incoraggiare Courbet a dipingere i personaggi senza mostrare i volti. Affinché si intuisca come una vita di stenti, distrugga – appunto – l’identità dell’uomo stesso.
Le spigolatrici
Nella vastità artistica che segue il filo conduttore di questa corrente, possiamo osservare un altro grande pittore quale Jean-François Meillet e le sue “spigolatrici” – 1857. In questo caso, l’artista, va a restituire dignità alla fatica del lavoro quotidiano.
Giorgio De Chirico: una natura inquietante
Entrambi gli esempi proposti, evidenziano un realismo accentuato; colpirà maggiormente il gusto, unito al loro intenso modo di rappresentare la povertà del lavoro.
Un altro studio, ha rilevato come l’artista di Brabante, era sovente rappresentare le stagioni, perché strettamente collegate alla vita dei campi; infatti, Brueghel il “vecchio”, nel 1565, dipinse la famosa “Fienagione”, caratteristico pannello del rinascimento nord europeo, appartenente alla serie dei “mesi”.
In aggiunta, una nota doverosa, va fatta su Brueghel il giovane; omonimo – figlio, nato nel 1564, dal matrimonio con la figlia del suo grande maestro, Mayeken Coecke. Suo primogenito, diventerà un artista affermato come suo padre, seguendone le orme. Tra le opere più conosciute, e non da meno, uno dei suoi quadri più importanti, ”Matrimonio di paese– 1610 ca.”
Nel dipinto, si osservano danze e attività popolari, che riecheggiano proprio in un quadro simile dipinto dal padre anni prima. Non mancano, effettivamente, dettagli “umoristici” come gente impegnata a far rissa, a ubriacarsi o a urinare … “tipico” di questa pittura definita spesso ridicola e buffa. Nel 1568, nacque il suo secondogenito Jan (noto come Jan Velvet – Jean dei velluti – che fu abile pittore di tessuti.)
Pieter il Buffo pittore
Brueghel, il “vecchio” fu sovente accusato di dipingere “buffonerie”, basti considerare gli ultimi quadri, e da qui il nomignolo Pieter il “buffo”.
A differenza di quanto sostengono alcuni, Brueghel il Vecchio, non fu mai maestro dei suoi figli in quanto, ebbe una vita relativamente breve, e i figli erano troppo piccoli quand’egli morì a Bruxelles, sepolto a Notre-Dame de la Chapelle nel 1569.