LIVERPOOL – Quel giorno George, Ringo e John erano sconvolti: il loro amatissimo amico “Macca” se n’era andato. Non c’era più. Comincia da qui “Paul is dead”; ovvero la “favola” della morte di McCartney, cantante, bassista e autore di molti successi dei Beatles. È proprio con l’acronimo “Pid”, cioè “Paul è morto”, che si indica una tra le più famose teorie complottiste del rock. Verità o menzogna? Chi lo sa. Il mistero è servito.
È il 1969, dunque il momento in cui sui Fab Four stanno scendendo i titoli di coda, quando inizia a circolare una voce che si fa via via sempre più insistente: Paul McCartney era in realtà scomparso tre anni prima, ossia nel 1966, a causa di un incidente stradale avvenuto all’alba di una fredda mattina di novembre, il 9 per la precisione, alla guida di una Aston Martin DB5.
Paul is dead, la leggenda della morte di McCartney
Ma allora chi c’era adesso al posto suo? Presto detto: un sosia, in tutto e per tutto simile all’originale, sia nei lineamenti sia nella voce. E, a conferma di questa leggenda metropolitana, ci sarebbero una serie di segnali nascosti, disseminati tra le copertine e i solchi della band di Liverpool. La persona scelta per sostituire Paul sarebbe l’attore William Stuart Campbell, ma altri parlano dell’ex poliziotto William Sheppard. Uno di questi due uomini si sarebbe prestato per rimpiazzare l’artista, anche sottoponendosi ad alcuni interventi di chirurgia plastica.
Certo, la storia è affascinante, ma risulta francamente molto difficile credere che sia attendibile, anche perché come avrebbe fatto Paul a scrivere, dal 1966 in poi, alcune delle sue canzoni più belle per i Beatles (qualche titolo: “Get Back”, “Hello Goodbye”, “Penny Lane”, “Hey Jude”, “Let It Be e “The Long and Winding Road”), senza contare tutta la successiva produzione solista? Il gruppo avrebbe dovuto avere un colpo di fortuna incredibile nel riuscire a trovare realmente un replicante di McCartney.
Verità o menzogna?
Perché qui, è evidente, non ci si potrebbe basare solo su presunte somiglianze fisiche e/o vocali, ma entrerebbe in ballo anche lo specifico genio artistico, che non è prerogativa di tutti né è facilmente ripetibile, dal momento che, per ogni individuo, quell’elemento risponde a una sua precisa unicità. Ad ogni modo, Paul sarebbe morto insieme a una ragazza di nome Rita dopo essere uscito di strada, schiantandosi poi contro un albero.
Una variante di questa teoria parla addirittura di un Macca rimasto decapitato dopo lo schianto contro un camion. I Beatles superstiti, a quel punto, avrebbero optato per una scelta folle: non dire niente a nessuno, evitando rigorosamente di comunicare al mondo il decesso del loro compagno, che avrebbero così sepolto in gran silenzio e successivamente sostituito con un sosia.
I messaggi simbolici
Negli album successivi al 1966 ci sarebbero vari messaggi simbolici – nascosti sia sulle copertine sia nei testi delle canzoni – per ammettere la verità, cioè che Paul non c’è più. Ad esempio, su “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” (1967) apparirebbero diversi simboli funebri, come il sangue che macchierebbe il guanto di un’anziana signora, o Paul che sarebbe l’unico a impugnare uno strumento nero, senza contare che sulla sua testa c’è una mano alzata, che in alcune società orientali raffigura, appunto, la morte.
Sul retro della copertina, invece, Paul è l’unico ripreso di spalle. Inoltre nei testi delle canzoni ci sarebbero riferimenti all’orario dell’incidente (le 5 di mattina) e al giorno in cui esso è avvenuto (mercoledì). Ma i presunti indizi sono davvero tantissimi: impossibile elencarli tutti. Su “Magical Mystery Tour”, sempre del 1967, c’è il brano “I Am the Walrus”: il tricheco sarebbe, almeno secondo la mitologia eschimese, un simbolo di morte. Inoltre, nella copertina dell’album Paul è l’unico a essere vestito di nero.
“Abbey Road” e la risposta ironica di Paul 23 anni dopo
Infine c’è la copertina di “Abbey Road”, ultimo disco pubblicato dai Beatles, nel 1969, prima di sciogliersi (“Let it be”, infatti, usci nel 1970, quando la band già non esisteva più). Come noto, tutti e quattro attraversano la strada in fila indiana: ebbene, quella sarebbe una processione funebre, con John a officiare il rito, Ringo a portare la bara e George a fare il becchino. Tra di loro c’è Paul, a piedi scalzi e con gli occhi chiusi, come un cadavere.
Tutte sciocchezze, oggi possiamo dirlo, sulle quali McCartney ha anche ironizzato quando, nel 1992, ha inciso l’album dal vivo “Paul is live” (in contrapposizione, appunto, alla frase “Paul is dead”), facendosi ritrarre nuovamente sulle strisce pedonali di Abbey Road, ma solo in compagnia del suo cane. Forse di fronte alla stupidità, o al misticismo a tutti i costi, a volte è bene rispondere semplicemente con una risata.