La Corte di Assise di Ancona conferma l’ergastolo per Innocent Oseghale, che il 30 gennaio 2018 ha ucciso e fatto a pezzi Pamela Mastropietro. Il processo contro di lui è iniziato il 13 febbraio 2019 e la sentenza è arrivata il 29 maggio 2019. Le accuse sono di omicidio volontario aggravato dalla violenza sessuale, vilipendio, distruzione e occultamento di cadavere. Questa terribile pagina di cronaca nera italiana inizia nella comunità di recupero Pars a Macerata, dove la diciottenne romana arriva il 17 ottobre 2017.
Dalla fuga di Pamela Mastropietro al delitto
Agli psicologi del centro Pamela confessa di aver cominciato con la droga a 14 anni e poco dopo entra nel tunnel della tossicodipendenza. Il periodo trascorso nella comunità è piuttosto travagliato e culmina il 29 gennaio 2018 quando la diciottenne scappa dalla struttura senza documenti né cellulare. Stando alle successive ricostruzioni la giovane passa la notte a casa di un tassista e il giorno è avvistata nei giardini Diaz. Una nota piazza di spaccio di Macerata dove incontra Oseghale e, secondo gli inquirenti, l’uomo convince la diciottenne a salire nell’appartamento di via Spalato. È qui che si consuma l’efferato delitto, il nigeriano violenta Pamela e in un raptus di rabbia la accoltella due volte al fegato. Il motivo di tanta ferocia è dovuto al fatto che la ragazza vuole chiamare i carabinieri e paga il prezzo con la vita.
Il ritrovamento del cadavere e l’autopsia
Nella notte tra 30 e 31 gennaio Oseghale fa a pezzi il corpo della vittima e la chiude in due trolley. Poi li abbandona in un fossato a Pollenza, provincia di Macerata, dove vengono ritrovati. Giorni dopo l’uomo è individuato grazie alle immagini della telecamera di sorveglianza di una farmacia a Macerata che lo riprendono mentre segue la ragazza. Al momento dell’arresto, il ventinovenne nigeriano nega la violenza e si difende dicendo che Pamela è morta per un’overdose di eroina. Tuttavia gli esami scientifici sul corpo stabiliscono che le ferite mortali sono penetrate alla base del torace a destra quando la ragazza era ancora viva. Inoltre dall’autopsia emergono dettagli raccapriccianti: il cadavere è scuoiato, le cosce disossate e i femori spaccati, gli organi staccati. Una modalità che, secondo alcuni studiosi, è riconducibile a rituali di magia nera dalla mafia nigeriana.
Per la mamma di Pamela giustizia è fatta
Questo e tanti altri particolari non sono chiariti dall’imputato che durante il processo si è limitato a dire che ha solo smembrato il cadavere. Il cittadino nigeriano Oseghale, dopo aver ascoltato la sentenza, ha lasciato l’aula protestando e affermando la sua innocenza gridando:
“Capite italiani? Non l’ho uccisa”.
Invece si è commossa Alessandra Verni, la madre di Pamela, quando la corte d’assise ha pronunciato la parola ergastolo. Il nigeriano è stato condannato anche al pagamento delle spese processuali e legali delle parti civili. L’avvocato della difesa, Umberto Gramenzi ricorrerà alla Cassazione perché a suo avviso si sono verificate violazioni di legge che la Corte deve verificare.