Il 25 aprile, è un giorno che gli Italiani non dimenticheranno mai. La Liberazione. Una data che segna la svolta di un’epoca, assumendo un particolare significato politico e militare. Ma soprattutto, nell’immaginario collettivo, rappresenterà la vittoria per eccellenza contro l’occupazione nazista e il regime fascista.
La liberazione, è una data che non racconta, dunque, solo la storia nazionale del secondo Novecento. Rappresenta l’orgoglio, l’animo, la forza e il racconto della memoria che parla del popolo Italiano.
«Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire.»
– Sandro Pertini –
Tuttavia, questa data gloriosa, per quanto terribile, non è stata la festa di un popolo, ma una dolorosa e drammatica pagina della nostra storia: una nazione che, stanca di rispondere ai vent’anni di regime, si ribella, a scapito di enormi sacrifici e di perdite di vite umane.
La lotta per la liberazione e la forza di ricostruire il Paese
1945. Il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia da Milano, proclama l’insurrezione generale in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti: è l’inizio della fine.
L’ordine impartito alle forze partigiane nel Nord Italia, parte del Corpo Volontari della Libertà, è di attaccare i presidi fascisti tedeschi e imporre la resa.
Parallelamente il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia), formato dai rappresentanti dei partiti antifascisti, assume il potere in nome del popolo italiano e stabilisce la condanna a morte dei gerarchi fascisti incluso Benito Mussolini. La parola d’ordine intimata dai partigiani quel giorno, come in quelli immediatamente successivi, è:
“Arrendersi o perire”!
Entro il 1º maggio tutta l’Italia settentrionale è finalmente libera: Bologna, Genova, Venezia. La data del 25 aprile per la liberazione, rappresenta simbolicamente, l’apice della fase militare della Resistenza e l’avvio di un governo indipendente. Il prossimo passo è il referendum del 2 giugno 1946 per scegliere fra monarchia e Repubblica. Quest’ultima sarà acclamata a gran voce, con la stesura – successivamente – della Costituzione.
Il 22 dicembre 1947, l’Assemblea Costituente, approva la Costituzione della Repubblica Italiana, che è anche la legge fondamentale dello Stato. Quest’unificazione, è considerata anche un processo di modernizzazione sia politica che economica, purtroppo stentata e sofferta. Si chiude un’epoca, se ne apre un’altra.
Le due facce della stessa medaglia
Per quanto la liberazione dall’oppressione nazifascista fosse considerata da molti una rinascita, gli eventi che si tallonarono, segnarono una delle pagine nere dell’immediato secondo dopoguerra in Italia. Tra questo in primo luogo, si ricorda l’eccidio di Schio, meglio conosciuto con il nome di “massacro di Schio”, avvenuto tra il 6 e 7 luglio 1945.
Un gruppo di ex partigiani della divisione garibaldina “Ateo Garemi“, con degli agenti della Polizia ausiliaria partigiana uccisero, a Schio (Vicenza), un gruppo di detenuti. La strage si è compiuta proprio nel carcere mandamentale della città, come rappresaglia per l’eliminazione, da parte delle Brigate Nere, del partigiano Giacomo Bogotto.
Ma soprattutto come ritorsione per la strage di Pedescala, perpetrata dai tedeschi in ritirata. I partigiani passarono in rassegna 99 detenuti e ne scelsero una cinquantina per fucilarli. Tutto senza nessuna distinzione, senza elenchi o identificazione. Senza essere certi che si trattasse di fascisti. Alcuni partigiani abbandonarono il luogo, non volendo partecipare alla strage. Altri procedettero all’esecuzione. A colpi di mitraglia uccisero ben 54 persone, tra cui 14 donne – la più giovane aveva solo 16 anni – e ne ferirono altre 17.
Ad ogni modo, l’odio dissemina odio e, la follia nazifascista che si era sfogata sulle già piegate popolazioni civili, andò incontro alla Resistenza Partigiana e alla rabbia che gli stessi, giorno dopo giorno, coltivarono nei confronti dei dittatori.
Il popolo italiano, da tempo, aveva iniziato a comprendere la vera catastrofe alla quale, il regime autoritario, li aveva condotti; la controffensiva, fu quasi direttamente proporzionale alle ingiustizie disseminate. Gruppi di piccoli partiti e non solo, che prima di tutto, non hanno mai accettato né le massicce offensive tedesche, né la linea politica di Mussolini. Ciononostante, i danni della guerra sono stati inestimabili.
La “Nuova Italia” era stata liberata. Ma la ricostruzione, il dolore e i truci retroscena delle tragiche azioni di tutti, soprattutto corollata dalla debolezza di molti e l’indecisione di altri, avevano portato il paese alla vera catastrofe. Una sciagura che ancora oggi, a distanza di anni, conta le sue vittime. I bambini smarriti dell’Olocausto.
L’origine di un canto partigiano
Bella ciao è uno dei canti popolari italiani più noti a livello internazionale e generalmente è associato alla Resistenza stessa.
Nonostante tutto, è scarsamente utilizzata nel periodo della dittatura; e identifica le idee dei partigiani solo a guerra finita. La scelta di riconoscere il brano come canto rappresentativo del gruppo, deriva dalla necessità di trovare un testo con valori universali di libertà e opposizione; ma senza riferimenti politici o religiosi.
Sarebbe stato difficile, altrimenti, unire le varie anime che avevano lottato contro il nazifascismo. Persone così diverse tra loro, negli ideali, eppure unite nella lotta. Ad ogni modo, l’operazione ha avuto successo, se si pensa che oggi Bella ciao è uno dei testi più conosciuti, tradotti e cantati a livello mondiale.