ROMA – La difficile fase 2 per i commercianti. Proprio così. Sicuramente, tra le categorie più pesantemente colpite dall’emergenza sanitaria del coronavirus, ci sono loro, che dagli inizi dello scorso mese di marzo si sono visti costretti ad abbassare le saracinesche e a spegnere le proprie vetrine per contribuire, in modo determinante, a limitare quanto più possibile le occasioni di trasmissione del virus.
Di fatto gli unici che hanno continuato a lavorare sono gli esercizi di generi alimentari di prima necessità e le tabaccherie. A metà aprile hanno potuto riprendere anche le librerie-cartolerie e i negozi che vendono prodotti per la prima infanzia. E comunque, anche fra queste due tipologie, sono tanti quelli che hanno deciso di non riaprire, magari nei casi in cui le dimensioni troppo piccole dei negozi non consentono di rispettare il distanziamento sociale, quindi per tutelare clientela e dipendenti.
La difficile fase 2 per i commercianti
Ora però anche questi operatori si trovano a fare i conti con i pagamenti, perché è vero che le imposte sono state rinviate a maggio o giugno, ma comunque bollette, affitti e tasse vanno pagati e si rischia oggi un effetto cumulativo che potrebbe determinare la chiusura per molte attività. Insomma, cosa sta succedendo adesso?
Il Decreto Cura-Italia ha previsto a favore dei commercianti in regola con i pagamenti, dunque privi di morosità, un credito d’imposta pari al 60%. In pratica, se un commerciante paga mille euro al mese di affitto, con il Cura-Italia potrà scaricare il 60% di quella somma alla prima occasione utile in fase di pagamento delle tasse, ovvero 600 euro.
Questo significa che per l’operatore commerciale sarà come se avesse pagato un affitto di 400 euro al mese. E allora è opportuno studiare, il prima possibile, delle soluzioni concrete e immediate. C’è infatti da impedire che la crisi economica derivante dall’emergenza Covid 19 non si riveli più devastante delle già fosche previsioni.
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