Ci sono delle storie, che sarebbe meglio dimenticare, ma forse non è giusto. Storie di terrore e di paura che non sono il frutto di un film horror. Sono storie vere, reali, i cui risvolti hanno spesso un epilogo triste. Lo sappiamo, molti eventi di cronaca nera, si concludono in modo insoddisfacente, soprattutto perché non può essere veramente onesto ciò che non è giusto. Eppure alcuni racconti, nella loro efferatezza sono peggio di altri. Forse perché è la storia in sé a rendere tutto più frustrante. O forse perché spesso, le vittime, sono anime mute e non si tratta di mistero, ma d’idiosincrasia fine a se stessa e, dunque, comunque la si osservi, comunque se ne parli, per molti resta l’apoteosi della follia umana, della barbaria esasperata, così com’è stato il delitto di Reggio Emilia.
In un giorno come un altro a Casalbaroncolo una frazione del comune di Parma, una famiglia come tante è distrutta, sconvolta, da un evento che nessuno dimenticherà più. A casa Onofri, si stava tranquillamente seduti a tavola quando, all’improvviso, due uomini fanno irruzione. I coniugi sono legati e poi costretti a sdraiarsi a terra. Il piccolo Tommaso, che poco prima stava mangiando seduto tranquillamente al seggiolone, viene portato via, rapito, davanti agli occhi di due genitori impotenti.
Ma perché Tommy (come lo chiamavano tutti) viene sequestrato? Chi erano questi due personaggi? E che motivo avrebbero avuto di portare via il piccolo visto che i genitori non erano persone benestanti?
Il delitto di Reggio Emilia e la sua triste conclusione
Orbene. Il rapimento avviene il 2 marzo del 2006, e per ben 26 giorni a seguire la storia rimbalza su teorie e personaggi implicati. Intanto tutta l’Italia è col fiato sospeso, perché la crudeltà probabilmente connessa al pensiero stesso del rapimento di un bambino, commuove e sensibilizza tutto il Bel Paese che segue la vicenda con apprensione.
Gli inquirenti, durante le indagini, pongono l’attenzione verso un personaggio, un muratore di nome Mario Alessi che qualche tempo prima aveva svolto dei lavori nella villetta Onofri. Da una prima analisi, risulta che l’uomo ha un alibi di ferro, almeno così sembra.
Tuttavia, gli investigatori che in un primo momento lasciano da parte quella pista, non l’accantoneranno mai, spostando la ricerca e concentrandosi anche sulla famiglia, in particolare sul padre del bambino Paolo Onofri; ma ogni sospetto cade, perché qualunque approfondimento non porterà assolutamente a nulla di concreto. Il tempo passa, siamo quasi alla fine di marzo quando spunta una nuova traccia.
Sul nastro adesivo utilizzato per immobilizzare i coniugi, i RIS di Parma trovano un’impronta. Analizzandola scoprono che appartiene a un pregiudicato di nome Salvatore Raimondi, un ex pugile con precedenti penali per rapina. I carabinieri, inoltre, non hanno mai procrastinato la pista su Mario Alessi continuando a tenerlo d’occhio, cercando di passare minuziosamente al setaccio l’alibi che lo stesso si era “costruito a tavolino”!
Alessi, aveva raccontato di essere stato in un bar per gran parte della serata. Tuttavia, negli interrogatori successivi, sia i clienti e sia la titolare dell’attività, hanno smentito la presenza dell’uomo nel locale.
I carabinieri adesso possono arrestare Alessi. Con lui, saranno incarcerati anche la compagna Antonella Conserva e l’ex pugile, che confesserà subito.
La confessione
Mario Alessi, invece, tenterà di difendere se stesso fino all’ultimo. Ciò nonostante, alla fine, ammetterà anche lui. Purtroppo la confessione – “motivazione” di tutta questa storia, darà il colpo di grazia ad una vicenda che già di per sé è davvero pura follia.
Salvatore Raimondi e Mario Alessi raccontano ai magistrati il loro delirio. La visione del loro “progetto” era di voler ricattare Paolo Onofri, a seguito del rapimento del piccolo Tommy. I due, sanno che l’uomo non è ricco, ma essendo un dipendente delle poste, può aver accesso al denaro e, in questo modo, potevano costringerlo a entrare negli uffici, prendere tutto il contante possibile, e di conseguenza a consegnarlo nelle loro mani.
Malgrado ciò, i fatti si sono svolti in maniera diversa. Durante la fuga, a seguito del sequestro, i due fuggono in scooter. Ma la corsa termina bruscamente. Spaventati per via di un’auto con un lampeggiante e, credendo si tratti di un’auto della polizia, cadono dallo scooter e sono costretti a proseguire a piedi nella campagna.
A questo punto, in corsa tra gli alberi di Sant’Ilario, e trascinandosi dietro il piccolo Tommy che non smetteva di piangere, si fermano. Alessi infastidito ed esasperato dal pianto del bambino decide di farlo tacere e lo uccide con un colpo secco.
L’agghiacciante storia e, la giustificazione raccapricciante che lascia poco spazio alle parole, conduce gli inquirenti nel luogo preciso dove si trova il corpo senza vita del bambino. Presso Sant’Ilario d’Enza in direzione di Reggio Emilia, vicino un torrente, giace Tommaso, sepolto sotto 30 cm di terra. Finisce così questa storia, nel modo peggiore possibile.
Il delitto di Reggio Emilia si conclude
Il 30 ottobre del 2006, la Procura della Repubblica, rinvia a giudizio Mario Alessi per rapimento e occultamento di cadavere. Salvatore Raimondi e Antonella Conserva sono giudicati colpevoli con l’accusa di sequestro e morte del bambino (ma quale conseguenza non voluta).
Sia in primo grado sia in appello i tre vengono condannati.
Mario Alessi, sta scontando l’ergastolo, sentenza conferma anche in cassazione. La sua ex compagna, è dapprima condannata a 30 anni di reclusione; mentre Salvatore Raimondi, processato con rito abbreviato, viene condannato a 20 anni.
La Cassazione, confermerà la pena, però disporrà un nuovo processo per Antonella Conserva nel tentativo di chiarire meglio quali fossero le sue responsabilità.
Al termine del processo la donna sarà condannata a 24 anni di reclusione; tutte le sanzioni non consolano i familiari del piccolo che, suo malgrado è parte di uno dei delitti più atroci degli ultimi anni.
La madre di Tommy non riuscirà mai più a dimenticare quei terribili momenti, quando legata sdraiata sul pavimento, si sentiva morire dentro nell’udire il disperato pianto di suo figlio. Alla stampa dichiarerà:
<<Mi sembrava di vivere in un film, mi chiedevo come fosse possibile che tutto questo accadesse a noi, a volte mi sembrava di vivere in una dimensione parallela. Poi quando mi svegliavo, ritornavo alla realtà>>. Il delitto di Reggio Emilia