Il carnevale romano e il carattere popolare
Le origini del Carnevale Romano risalgono ai Saturnali, feste di carattere popolare che si celebravano in onore di Saturno. Nasce nel Medioevo e, durante il Rinascimento, diventa popolare da richiamare gente che arrivava da fuori Roma, per assistere ai festeggiamenti romani. Il periodo di massimo splendore è con l’elezione di Papa Paolo II nel 1464. Il pontefice trasferisce la residenza pontificia a Palazzo Venezia e concentra i festeggiamenti in particolare a via Lata, attuale via del Corso.
Mascherate e spettacoli, ma anche balli sontuosi si tengono nelle case romane. Rimane memorabile nel decenni la mascherata del 1805, sul tema del Convito degli dèi: l’apparatore della festa è nientemeno Antonio Canova.
Ma il più spettacolare evento del Carnevale romano è la corsa dei cavalli barberi. Veloci cavalli africani appositamente addestrati. Durante la corsa dei barberi il Corso veniva sgomberato, cosparso di sabbia e la folla si stringeva ai lati. La pubblicazione di una nota dei cavalli che avrebbero preso parte alle gare, forniva occasione per scommettere e discutere sulla possibile vittoria dell’uno o dell’altro. Nel tardo pomeriggio le famiglie principesche, i Cesarini, gli Altemps e i Rospigliosi (con i cavalli del loro allevamento), oltre a piccoli mercanti e popolani, radunavano tra dieci e i venti cavalli adorni di piume, cinte e polvere di simile ad oro, in piazza del Popolo.
In questa fase iniziale, che chiamata “mossa”, gli animali trattenuti da tre o quattro persone, ognuno in attesa che un giudice lasciasse cadere un fazzoletto a segno di inizio gara. I cavalli partivano con incredibile impeto privi di fantino, ma pungolati da bisacce ricolme di spine sul dorso. La sabbia cosparsa sul lastricato non era sufficiente ad impedire che gli zoccoli facessero scintille, mentre gli animali erano costretti a farsi strada tra la folla.
L’arrivo in piazza San Marco, “il moccoletto”
A piazza San Marco oggi piazza Venezia, la corsa terminava con la “ripresa”. Momenti in cui i cavalli venivano arrestati per mezzo di un telone bianco steso tra due palazzi, per poi passare alla premiazione.
Dopo l’allegria delle mascherate, l’ebrezza della corsa, giungeva la sera del martedì grasso. Ed il Carnevale si concludeva con il trionfo dell’effimero: Il gran finale si svolge sempre lungo il Corso, animato come un fiume di gente formicolante. Ognuno ha in mano un “moccoletto”, e tutta la strada si illumina di fuoco. Tutti sono animati da un unico proposito: spegnere la candeletta altrui e mantenere accesa la propria. Nel tumulto generale la parola d’ordine era: “Senza moccolo! Senza Moccolo”!
L’Evento
La corsa dei Barberi è un evento così animato e dionisiaco che non è sfuggito al gusto romantico: da Horace Vernet a Théodore Gèricault. Tantomeno è sfuggito ai ricordi di Goethe nel suo “Viaggio in Italia”.
Il 20 settembre 1870 al regime autoritario succede la libertà. Un fatto che di per se stesso sembra escludere la valvola di sfogo del Carnevale. Le corse dei barberi diventano sempre più anacronistiche. Nel 1873 la Commissione del Bilancio del Comune propone la soppressione dello stanziamento per un evento non più compatibile con la civiltà moderna. Il 17 marzo 1882 l’onorevole Odescalchi interviene alla Camera con una interrogazione sulla opportunità della corsa: risponde il ministro Depretis rimandando al Comune la responsabilità dell’evento. “Il Popolo Romano” scrive: «E allora perché non si sopprimono le ferrovie che sono anch’esse causa di scontri e morti?»
L’età umbertina si conclude così con la fine del Carnevale. Come aveva notato Goethe, era una festa non concessa al popolo, ma un evento che il popolo concede ogni anno a se stesso. Oggi purtroppo non c’è più tempo e spazio per quel barlume di libertà.
FONTE IMMAGINE IN EVIDENZA www.artribune.com