La Galleria degli Uffizi propone sui propri social un ciclo di appuntamenti dal titolo Black Presence. Un progetto ideato e curato da Justin Randolph Thompson in collaborazione con l’Area Strategie Digitali, l’Area Mediazione culturale e Accessibilità della Galleria degli Uffizi.
Il cuore africano della Galleria degli Uffizi
Thompson è direttore e fondatore della rete Black History Month Florence, nato per supportare l’integrazione della storia afroamericana nelle scuole. Che in seguito si è trasformato negli anni in una rassegna di eventi a livello internazionale. Da cinque anni anche la città di Firenze accoglie gli eventi dedicati al Black History Month. Lo scopo è quello di sensibilizzare sulla discriminazione razziale, un tema di scottante attualità. Perciò l’evento parte dal 4 luglio, una data simbolica, perché è il giorno della ricorrenza della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America. L’edizione di quest’anno a causa dell’emergenza Covid-19 ha subito variazioni ed ha deciso di sfruttare le piattaforme digitali di Facebook e Tik Tok degli Uffizi. Da qui ogni sabato sera ci saranno delle video dirette per analizzare le opere della collezione e approfondire la presenza della figura africana nell’arte.
La cultura nera nei quadri degli Uffizi
I capolavori presentati da Thompson nel corso degli appuntamenti, si distinguono per le figure dalla pelle scura che si stagliano sulla tela. Sono testimonianza di un passato in cui l’Africa, come le Americhe e l’Asia, suscitava grande interesse in quanto culla di realtà diverse da quella europea. Infatti esiste una grande produzione artistica rinascimentale, nata dall’influenza esotica esercitata dalle conquiste e dai viaggi esplorativi. Per l’aristocrazia europea ricevere un’alta carica proveniente dall’Africa tra i propri ospiti, era sinonimo di prestigio. Lo era altrettanto annoverare un moro, modo in cui sono definiti i servitori di provenienza africana, tra la propria servitù. Attraverso l’arte il museo ci racconta la grande storia del passato e fa vivere le opere nel presente. I capolavori infatti parlano una lingua universale che aiuta non solo a comprendere meglio il loro tempo, ma anche il futuro che intendiamo costruire.