Come i pini ballare nel vento

Come i pini ballare nel vento

Come i pini ballare nel vento

di Daniela Piesco

Iniezioni letali in America. Colpi alla nuca in Bielorussia. Impiccagioni in Iraq ed Egitto. L’agonia riprende la scena.

Oggi, più di due terzi dei paesi al mondo ha abolito la pena capitale per legge o nella pratica. Nel 2019, sono state messe a morte almeno 657 persone in 20 paesi, una diminuzione del 5% rispetto al 2018 (almeno 690).

Segue nel 1764 la pubblicazione del pamphlet (trattato breve, libello) Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria stimolò la riflessione sul sistema penale vigente. Nel trattato (in particolare nel capitolo XXVIII), Beccaria si esprimeva contro la pena di morte; argomentando che con questa pena lo Stato, per punire un delitto, ne commetterebbe uno a sua volta.

«Parmi un assurdo che le leggi, che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commettano uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio.»

Tra i tanti, il film “Just Mercy”, (titolo italiano” Il diritto di opporsi”) riportò a galla temi che, forse, forzatamente sono stati tenuti nel fondo: come il clima di odio razziale di cui è teatro endemico un paese che solo apparentemente ha consacrato la libertà in una statua, simbolo del mondo intero e che solo timidamente, con l’elezione di Obama, ha voluto emulare i grandi leader carismatici del passato.

Difatti, il perdurare di una pena che toglie la vita fa apparire l’America un paese fortemente contraddittorio: la fiaccola che tiene viva la libertà è la stessa di Caronte che accompagna le anime nell’oltretomba.

Come i pini ballare nel vento: da Obama a Martin Luther King

Obama ha avuto paura di essere considerato non solo un Presidente afroamericano ma il Presidente degli afroamericani e quindi ha adottato una sorta di strategia di normalizzazione che fece passare, nel neutralizzare, il problema semplicemente non parlandone. Negli otto anni del suo mandato, non disse mai esplicitamente che questo problema continuava ad esistere negli Stati Uniti.

Ricordo che ne parlò a Selma, in occasione dell’anniversario della famosa marcia di Martin Luther King, sostenendo che quella marcia non era finita e che bisogna proseguire e continuare il lavoro. Ma eravamo già agli sgoccioli della sua amministrazione.

In qualche modo Obama salutò l’idea che la sua elezione potesse davvero rappresentare gli inizi di un’età post razziale e che, questo semplice fatto, avrebbe in qualche modo cancellato queste nozioni dal dibattito pubblico.

Gli intellettuali americani lamentarono a lungo la dismissione del parlare esplicitamente di discriminazioni. E dunque oggi come allora. Bianchi contro neri e neri contro bianchi.

Cinquanta anni fa, gli Stati Uniti erano la culla della segregazione razziale. I “colored” avevano posti riservati sui bus, bagni separati dai bianchi e scuole per conto proprio.

Solo Martin Luther King o Malcolm X riuscirono a formare vere e proprie manifestazioni di massa e forme di disobbedienza civile che poi furono portate avanti dalla popolazione afroamericana.

Mi torna alla mente la poesia Invictus, che fu scritta nel 1875 dal poeta inglese William Ernest Henley proprio sul letto di un ospedale. La poesia, poi, fu usata da Nelson Mandela per alleviare gli anni della sua prigionia durante l’apartheid e per questo fu citata nel film Invictus (L’invincibile, del 2009, diretto da Clint Eastwood con Morgan Freeman e Matt Damon).

Invictus

L’ultimo verso venne citato da Oscar Wilde nell’epistola De Profundis del 1897, scritta durante la prigionia nel carcere di Reading, in seguito alla condanna per omosessualità.

Il testo, nel ripercorrere la storia della relazione con il giovane Lord Alfred Douglas, riportò la frase: “I was no longer captain of my soul”.

Walter McMillan, protagonista di “Just Mercy”, storia vera, invece, da uomo innocente, per mitigare la sofferenza chiude gli occhi e rivede i pini ballare nel vento. Quel vento che fa parlare gli alberi e che li fa vibrare di luce.

Il fondatore del buddhismo, il Buddha Sakyamuni, si pronunciò contro la vendetta e lo spargimento di sangue. Non legittimando tali atti in nessun caso: «Il sangue non pulisce ma sporca. L’odio non cessa con l’odio, in nessun tempo; l’odio cessa con l’amore, questa è la legge eterna.»

L’opinione pubblica contro la pena capitale si divide, infine, in abolizionisti (come Amnesty International) e sostenitori della moratoria (come l’associazione radicale Nessuno tocchi Caino). C’è chi considera anzitutto la sospensione, in particolare a livello internazionale, un primo e migliore passo; poiché gli stati autoritari possono revocare l’abolizione, che comunque è più difficile da ottenere e non si può imporre o decidere da parte di organismi sovranazionali.

La pena di morte, ribadisco, è un omicidio premeditato da parte di uno Stato; che non potrà essere punito come prevede la legge dello Stato stesso. La pena di morte è sintomo di una cultura di violenza e lo Stato che la esegue dimostra la stessa prontezza nell’uso della violenza fisica.

 *Vice Direttore www.progetto-radici.it

 Foto: Daniela Piesco

Si ringrazia Goffredo Palmerini per la nota stampa.