Necrofilia, disturbo borderline di personalità, disturbo psicotico. Sul caso Dahmer, a cavallo tra il mediatico e il grottesco, sono esplose le plurime interpretazioni sia di esperti, sia di improvvisati, che, tuttavia, nel ripercorrere le fasi di vita e delittuosità del soggetto, hanno spesso omesso la parte inumana vissuta dallo stesso, dall’età precoce, che lo hanno poi condotto, in età adulta, nella spirale di omicidi che lo hanno inghiottito fino al punto di non ritorno.
Caso Dahmer: Individuazione precoce dei problemi psicologici
I primi anni di vita e, lo sviluppo di Jeffrey, evidenziarono il riconoscimento di indicatori di disagio psicologico o di comportamento deviante. Ciò lo condusse, suo malgrado, a diventare area di interesse per lo studio della devianza e della criminologia. Il fascino che il soggetto, nell’infanzia, aveva per gli animali morti e il costante isolamento, erano segni rivelatori che alludevano a problemi più profondi che si manifestarono in seguito. Il caso, evidenziò la necessità che professionisti della salute mentale, psichiatri, psicologi, educatori e genitori, fossero vigili e proattivi nella fase di crescita dell’individuo, maggiormente nel riconoscere i segnali di disagio o comportamenti anomali nei bambini e negli adolescenti. Ma andiamo per gradi.
La prima infanzia
La gravidanza di sua madre fu tormentata da sbalzi d’umore, per i quali fu curata con una miscela di “26 pillole” al giorno! Non sappiamo con certezza come ciò abbia influenzato lo sviluppo del cervello di Jeffrey, ma sappiamo che il sistema nervoso si sviluppa nell’embrione durante le fasi critiche e che vengono influenzate dannosamente dai farmaci . La “cura” psicotropa “standard” per la depressione e l’ansia – dal 1959 al 1960 – (quando Dahmer era ancora nel ventre materno), somministrato a Joyce, era il Meprobamato, (commercializzato come Miltown). Non solo risultò neurotossico – sia per la madre che per il bambino – ma anche fisiologicamente dipendente. Jeffrey avrebbe sperimentato l’astinenza dai farmaci già alla nascita. Altre sostanze tossiche utilizzate erano: ormoni , barbiturici e morfina.
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La madre era una donna bisognosa di costanti attenzioni, soffrì di ansia e tentò di suicidarsi con un’overdose di tranquillanti. Con lei in queste condizioni e il padre spesso assente per motivi di studio, non ci furono molte persone che si preoccuparono del piccolo Dahmer. Joyce soffrì di depressione post-partum e questo mise ulteriormente Jeffrey a serio rischio di difficoltà di attaccamento. Come sappiamo, l’attaccamento materno è il fondamento di tutte le relazioni successive, provocando in lui gravi timori di abbandono, che furono una sfortunata conseguenza per lo stesso. I suoi genitori litigavano ferocemente in sua presenza. I problemi psichiatrici di sua madre continuarono, così come i suoi tentativi di suicidio. Un doppio intervento di ernioplastica lo terrorizzò, rendendolo fobico. Tempo dopo, nacque suo fratello minore, “il favorito”. Gli insegnanti della scuola riferirono che Jeffrey aveva mostrato segni di isolamento, eccessiva timidezza e paura generalizzata.
Fin da giovane, fu affascinato da tutte le cose legate alla morte e iniziò persino a raccogliere le carcasse di animali morti. Ma non si limitò ad accumulare, perché smembrava e conservava le parti in barattoli allineati nel capanno degli attrezzi di famiglia. Questo accadde nel periodo scolastico, quando si rese conto di essere omosessuale. Insieme alla sessualità, scoprì l’alcool diventandone dipendente. Le fantasie sessuali di Jeffrey Dahmer però erano malate e sprofondarono in un abisso di malvagità pronta ad esplodere. Dahmer iniziò a fantasticare sullo stupro, lo eccitava l’idea di dominare e controllare completamente un’altra persona.
Anni successivi
Suo padre, Lionel, cercava di essere un fattore stabilizzante per suo figlio, ma era molto lontano da casa. Quando non era in giro, cercava di creare un forte legame con il figlio insegnandogli la caccia e l’abbondanza della vita animale nei boschi intorno alla loro casa e, sezionando insieme gli animali uccisi. Entrò in empatia con la timidezza e la solitudine di suo figlio, ma non avrebbe mai potuto immaginare, i tormenti che fermentavano nella mente del ragazzo. Purtroppo, ammise di non aver mai chiesto informazioni e di non essersene mai interessato. Contava sul fatto che Jeffrey fosse come lui. I suoi genitori divorziarono. Suo padre se ne andò e Joyce disobbedì a un’ordinanza del tribunale, abbandonando Jeffrey mentre era ancora al liceo.
All’età di 15 anni, beveva alcolici a scuola, in maniera eccessiva e aperta. Lo pseudo-controllo che a stento riusciva a gestire, dove facevano capolino la sua solitudine e lo sviluppo delle inclinazioni sessuali, sarebbero stati erosi dagli effetti disinibitori dell’alcolismo.
Da sottolineare come molte ricerche, nel corso del tempo, hanno evidenziato come l’uso di alcol, influisca sulla formazione del cervello adolescente, con diversi pericoli, tra cui comportamenti violenti, lesioni e morte. L’abuso di alcol ha accompagnò ogni fase del passaggio oscuro e mortale di Dahmer.
Un incessante desiderio di uccidere
Man mano che diventava meno in grado di controllare i suoi desideri, le fantasie diventavano realtà. Infatti, i suoi omicidi, iniziano nel 1978, tre settimane dopo il diploma, quando ormai era legalmente adulto e libero di fare quello che voleva. Un giorno diede un passaggio al diciannovenne Steven Hicks, lo portò a casa con la scusa di bere qualcosa.
Quando il ragazzo manifestò il suo desiderio di andarsene, lo colpì con un manubrio di cinque chili, poi lo strangolò. Questo non placò la sua libidine perché compì un atto sessuale sul corpo e, il giorno successivo, lo smembrò. Quest’orrore passò inosservato, intanto Jeffrey frequentò l’università per lasciarla dopo 6 mesi e, alla fine, approdò a casa della nonna, in Wisconsin. Tuttavia neanche l’amore lo cambiò perché iniziò a frequentare bar gay e bagni pubblici dove ebbe frequenti incontri sessuali di natura violenta.
Spirale di abusi mortali
Le “prede”, da qui in avanti, non furono più persone reali, esseri umani con delle emozioni, diventarono puri oggetti di desiderio. Nel 1987 quando tutto sembrava scorrere “tranquillamente” ecco la seconda vittima, Steven Tuomi. L’assassino non ricorderà nemmeno di averlo ucciso. Con quest’omicidio scattò qualcosa nella testa di Jeffrey che diventò il serial killer ricordato come il mostro di Milwaukee.
Il 26 settembre 1988, fu condannato, per molestie sessuali, a 5 anni di libertà vigilata durante i quali continuò comunque a uccidere. Il suo modo di agire, venne riportato da alcuni esperti come un rituale micidiale: stordiva le vittime con droghe o alcol, le uccideva, faceva sesso coi cadaveri, li smembrava e ne conservava i resti come fossero trofei.
Successe poi qualcosa di inaspettato: alcuni vicini di casa scoprirono che una delle vittime era ancora viva. Chiamarono i soccorsi. Agli ufficiali Dahmer raccontò che lui e il ragazzo erano amanti e avevano solo litigato. Incredibilmente gli agenti gli credettero e andarono via consegnando nelle mani dello stesso un’altra vittima, che fu uccisa poco dopo, si trattava di Konerak Sinthasomphone.
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Ma di cosa soffriva davvero Jeffrey Dahmer?
Dahmer, come detto, aveva un problema di abuso di alcol e iniziò a bere pesantemente al liceo. Il suo bere lo ha portato a chiudersi in se stesso e ad abbandonare il college. Lottò con la sua identità sessuale da giovanissimo. In più, la sua famiglia (dato che era molto conservatrice) rifiutò le sue inclinazioni e suo padre disse che avrebbe cercato di “cambiarlo” se si fosse dichiarato gay. Quindi, Dahmer non era mai riuscito ad abbracciare veramente e liberamente la sua sessualità e a cercare apertamente una relazione sana e amorevole. Durante il processo, due diversi psicologi diagnosticarono a Dahmer le seguenti condizioni:
Necrofilia
Disturbo borderline di personalità
Disturbo schizotipico della personalità
Dipendenza da alcol
Disturbo psicotico
È importante notare che avere queste diagnosi non rende una persona necessariamente un assassino o un “pazzo”. Egli provò a “difendere” la sua follia, affermando di non poter essere ritenuto responsabile dei suoi crimini a causa del suo stato mentale. Tuttavia, lo psichiatra Dr. Frederick Fosdal testimoniò asserendo di credere che Dahmer fosse del tutto sano di mente e che comprendesse la differenza tra giusto e sbagliato; questi aggiunse che quando scelse di attaccare violentemente e uccidere le sue vittime, lo fece consapevolmente. La corte acconsentì e dichiarò Dahmer sano di mente. Per loro era la conferma che avere un problema di salute mentale non trasformava necessariamente qualcuno in un mostro.
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Forse ciò che è stato più dannoso per Dahmer e che lo ha portato lungo il suo sentiero oscuro è stato il fatto che non ha mai ricevuto aiuto. Ha lottato con molte condizioni e ha dovuto affrontare sfide nella sua vita familiare. Nessuno può saperlo con certezza, ma si pone la questione di come sarebbe stata la vita di Dahmer se avesse potuto vedere un consulente professionista nella prima infanzia. Dopo la cattura, Jeffrey, parlò delle sue lotte continue con le fantasie omicide e la depressione. Del fatto che non ha avuto un’educazione da favola.
Diversi rapporti affermarono che non ricevette abbastanza attenzioni da bambino. Dahmer era interessato all’esaminare le ossa di animali raccolti fin dalla tenera età; ma quest’aspetto, fuori controllo lo portò alla decapitazione degli animali che, molti psichiatri ritengono tratto comune nei serial killer.
Quando Dahmer uccideva attivamente dagli anni ’70 agli anni ’90, i serial killer erano ancora un argomento sfuggente e inesplorato. Guardando indietro alla sua storia, è facile individuare tutti i segnali di allarme che indicavano che avrebbe potuto esserlo, come ad esempio:
Ha iniziato a ferire gli animali in giovane età
Quando aveva 16 anni, Dahmer divenne ossessionato da un jogger maschio e progettò di attaccarlo e aggredirlo sessualmente.
Nel 1985, iniziò ad andare spesso negli stabilimenti balneari gay in modo da poter drogare e violentare uomini privi di sensi. È stato arrestato due volte per atti osceni ma non per violenza sessuale.
Nel 1988, fu arrestato per aver drogato e aggredito sessualmente un ragazzo di 13 anni. Fu dichiarato colpevole ma rilasciato presto e tornò ad uccidere uomini quasi immediatamente.
Viveva negli Oxford Apartments a Milwaukee, e i suoi vicini si lamentavano spesso con l’amministratore dell’edificio degli odori orribili provenienti dalla sua unità, così come degli occasionali suoni forti di una motosega.
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Queste sono solo alcune delle tante “bandiere rosse” e opportunità mancate in cui Dahmer avrebbe potuto essere individuato per il killer che era veramente. Invece, il suo regno di tortura durò più di un decennio. I suoi atti scioccanti che includevano anche il cannibalismo, mostrò un modello di crimini che evidenziavano un desiderio di controllo e possesso e l’obiettivo di creare compagni sottomessi e passivi, come ad esempio, praticando buchi nei teschi delle vittime, prima di iniettarvi acido cloridrico o acqua bollente. Il suo arresto nel 1991, svelò tutto il suo orrore, alterando per sempre la storia criminale.
Scheda tecnica
- A Dahmer venne diagnosticato il disturbo borderline di personalità (BPD) e il disturbo schizotipico di personalità, due condizioni che possono ostacolare in modo significativo la relazione con gli altri. Il disturbo borderline di personalità è un modello pervasivo di instabilità nelle relazioni interpersonali, nell’immagine di sé e nelle emozioni, che porta a intensi episodi di rabbia, depressione e ansia che durano da ore a giorni. Gli individui che soffrono di disturbo bipolare spesso hanno difficoltà a mantenere relazioni stabili. Forse è stato questo che ha contribuito a creare sentimenti di isolamento e paura dell’abbandono in Dahmer che lo hanno portato a cercare il controllo sulle sue vittime per prevenire il rifiuto percepito da parte degli altri.
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Il Disturbo schizotipico della personalità é, invece, una condizione mentale caratterizzata da un’intensa ansia sociale, disturbi del pensiero, ideazione paranoide, derealizzazione, psicosi transitoria e convinzioni spesso non convenzionali. Dahmer potrebbe aver sofferto di questo disturbo che spiegherebbe molti dei suoi comportamenti e convinzioni insolite, inclusa la sua fascinazione per gli animali morti e i tentativi di creare compagni senza vita dalle sue vittime.
- Disturbo psicotico: Dahmer potrebbe aver sofferto di un disturbo psicotico, (sostengono alcuni) con sintomi tra cui deliri, allucinazioni e pensiero disorganizzato che potrebbero averlo reso distaccato dalla realtà; avrebbero potuto anche impedirgli di comprendere le implicazioni morali o etiche delle sue azioni; lasciandolo vivere in un mondo governato da percezioni distorte piuttosto che dalla realtà.
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- Abuso di sostanze: era noto per il bere molto, il che potrebbe aver contribuito ai suoi problemi di salute mentale e portarlo lungo un percorso imprevedibile di violenza e caos. L’alcol può disinibire il comportamento, ridurre l’autocontrollo e compromettere il giudizio, rendendo potenzialmente più facile per Dahmer agire in base agli impulsi che sorgevano dentro di lui.
- Omosessualità latente e isolamento: la lotta con la sua identità sessuale è stata identificata come possibile motivo dietro i suoi crimini. Vivendo in un’epoca in cui l’omosessualità era accettata meno di oggi, potrebbe essersi sentito isolato e alienato dalla società sopprimendo la sua identità sessuale, forse contribuendo a sentimenti di isolamento e disconnessione con la società che hanno contribuito al disagio psicologico.
Era guidato da un intenso bisogno di controllo e compagnia: i suoi metodi estremi – praticare buchi nella testa delle vittime per creare compagni sottomessi – indicano questa esigenza. Questo comportamento potrebbe essere stato una risposta estrema a sentimenti di profonda solitudine e alla sua incapacità di formare relazioni significative con individui consenzienti.
Jeffrey
- Due condizioni chiave per la mancanza di empatia e distacco emotivo di Dahmer: disturbo antisociale di personalità, cioè il disprezzo per le norme sociali, i diritti degli altri, l’inganno e la violazione delle leggi, che sono indicativi di ASPD. Psicopatia: i tratti associati alla psicopatia includono fascino superficiale, manipolazione, mancanza di colpa e superficialità. L’approccio sistematico nel sedurre le vittime mostrando poca empatia verso la loro sofferenza è in linea con questi tratti della psicopatia.
Fascino per gli animali morti e necrofilia
- Il fascino per gli animali morti e i successivi atti di necrofilia indicano un distacco dalla vita così come un’ossessione per il controllo assoluto.
Necrofilia: si assicurava il controllo completo sui suoi incontri sessuali, eliminando ogni possibilità di rifiuto o disobbedienza da parte dei partner. Era afflitto da disturbi della personalità , possibili disturbi psicotici, abuso di sostanze, problemi di identità sessuale e un bisogno schiacciante di controllo e compagnia: ogni fattore aggiungeva ulteriore chiarezza alla sua mente complessa dietro le sue atrocità e aiutava a comprenderne meglio le profondità. Niente di tutto ciò giustifica o scusa il suo comportamento, ma ci fornisce invece una visione più approfondita per comprenderne le profondità.
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Esperienze traumatiche: eventi tragici nella vita, come il divorzio dei suoi genitori e i problemi di salute mentale di sua madre, avrebbero potuto creare un’atmosfera di instabilità e insicurezza. Quando tali esperienze si verificano durante l’infanzia, possono avere conseguenze durature sullo sviluppo psicologico di un individuo, portandolo lungo il percorso verso disturbi come ASPD e psicopatia.
Relazioni fallite: l’incapacità di formare e mantenere relazioni significative potrebbe aver contribuito al suo isolamento e al conseguente comportamento violento. Le connessioni umane forniscono un meccanismo regolatore; senza questi legami, Dahmer avrebbe potuto non avere sufficienti controlli sui suoi impulsi devianti.
Distacco dalla vita: il distacco dalla vita si riferisce alla riluttanza o all’incapacità di impegnarsi con esseri viventi autonomi, forse perché tali interazioni comportano incertezza e il rischio di rifiuto.
Implicazione più ampia. Profilazione criminale
- I profiler hanno guadagnato molto dallo studio della mente di Jeffrey come parte di un approccio globale al riconoscimento dei serial killer. Hanno imparato a cercare modelli che potrebbero indicare un comportamento violento simile al caso Dahmer, comprese le sue caratteristiche uniche e la sua composizione psicologica, che servono da indicatore per le azioni di altri potenziali delinquenti. La sua storia funge da modello contro ogni possibile delinquente; le attività possono essere misurate e le interazioni di Dahmer con le sue vittime e i metodi per adescarle, insieme ai successivi crimini commessi contro di loro, ci hanno fornito una visione più profonda dei comportamenti e dei modelli dei serial killer, rafforzando la necessità di comprendere le basi psicologiche che guidano tali individui.
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Dall’arresto all’atroce finale
- Il 22 luglio 1991 Dahmer porta a casa il trentaduenne Tracy Edwards che riesce a fuggire miracolosamente. Quella stessa sera il killer riceve la visita della polizia che perquisisce quella che non è più una casa, ma un museo degli orrori. Composto di fotografie dei corpi e parti di cadaveri congelati e conservati nel frigo. Jeffrey ammette subito di aver ucciso sedici uomini in Wisconsin e uno in Ohio, è dichiarato sano di mente e condannato all’ergastolo. In carcere scopre la religione e quando sembra arrivata la pace per Jeffrey, due compagni di prigione si fanno giustizia da soli. Lo massacrano nelle docce della prigione il 28 novembre 1994, e si conclude così un’altra tragica pagina nera della storia americana. E ci lancia anche un monito e una riflessione che viene niente meno dalla madre di Dahmer: “Adesso sono tutti felici? Adesso è abbastanza per tutti?”.
Cosa sostengono gli esperti?
- Ad esempio che il cannibalismo era il modo in cui Jeffrey affrontava la solitudine insopportabile. Le valutazioni diagnostiche, non riescono a comprendere la depravazione di Dahmer e la distruzione che ha perpetrato nelle vite delle sue vittime e dei loro cari. Spesso, abbandoniamo la ricerca di una comprensione più profonda, definendolo “mostro”, o malvagio, esattamente come han fatto il giudice, i media e la società quando lo hanno condannato.