Borromini: biografia dell’architetto anticonformista
“Fu Francesco Borromini uomo di grande e bell’aspetto … di forte animo e d’alti e nobili concetti … visse costantemente … stimò molto l’arte sua per amore della quale non perdonò a fatica; affinché i suoi progetti riuscissero di intera pulitezza facevagli di cera, e talvolta di terra, colle proprie mani”. Dalla testimonianza di Filippo Baldinucci, storico dell’arte contemporaneo di Borromini, possiamo farci un’idea – seppur approssimativa – dell’”uomo” Borromini, non soltanto dal punto di vista esteriore, ma anche interiore. Com’è noto, l’architetto italo-svizzero pone fine alla sua vita, gettandosi su una spada.
E allora viene da chiedersi: cosa può avere spinto una persona “di forte animo e d’alti e nobili concetti” a farla finita? Un suicidio che potremmo quasi immaginare come quello dell’eroe Aiace nel quadro “Il regno di Flora” eseguito da Poussin, altro grande protagonista dell’arte seicentesca. È la vita che imita l’arte, o il contrario? Difficile, se non impossibile, poter rispondere a queste domande. Quel che è certo, è che quella di Francesco Borromini è una personalità tormentata, che si muove in un claustrofobico labirinto mentale dilatato fino all’inverosimile, ricco di rientranze e sporgenze, con profonde zone d’ombra e improvvisi squarci di luce. Sì, proprio come il suo stile architettonico.
Francesco Borromini, biografia di un’artista nella vertigine Barocca
Ad aggravare questo contesto caratteriale paranoide, l’ombra lunga di una presenza ingombrante che fa vivere Borromini su un costante e frustrante “chi va là?”. Sì, stiamo parlando proprio di lui, dell’altro incontestato re del barocco romano: Gian Lorenzo Bernini. La grande stagione barocca, infatti, ha visto esplodere i propri fasti anche sul crinale perennemente in bilico tra i due personaggi che hanno incarnato proprio il tormento e l’estasi dell’epoca.
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Una contraddizione di personalità ed estro artistico che ricorda da vicino quella, forse ben più famosa, tra Michelangelo e Raffaello. Illuminanti in tal senso sono le testimonianze riguardanti Bernini e, in modo tale da, cogliere il contrasto tra le due maggiori personalità del barocco romano. Paul Fréart de Chantelou, l’erudito che fa da guida a Bernini durante il suo viaggio in Francia, traccia, infatti, l’immagine di un uomo brillante, mondano, estroverso; di un maestro che giunto all’apice della propria carriera affida l’esecuzione delle opere agli allievi. Borromini, invece, è geloso dei suoi disegni – che farà bruciare poco prima di morire, teso alla perfezione, chiuso e nevrotico.
Il suo carattere duro e difficile, inasprito da quella che molto probabilmente è una vera e propria mania di persecuzione, lo portano alla lite con la maggior parte dei suoi protettori e amici. Inoltre, non è mai riuscito a ottenere il favore dei papi, salvo per un breve periodo dopo l’incoronazione di Innocenzo X. Ma, questo, solo perché Bernini, protetto dai Barberini, è momentaneamente caduto in disgrazia. Borromini lavora soltanto con le forme architettoniche, senza utilizzare elementi coloristici.
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Durante la sua vita – e quasi per trecento anni dopo la sua morte – l’architetto è stato accusato di essere un eccentrico che si prendeva qualsiasi tipo di licenza, corrompendo l’architettura con l’ignorare tutte le regole degli antichi e lavorando solo guidato dal proprio capriccio. Niente di più falso. Il confronto con l’architettura classica è sempre stato e sempre sarà ineludibile per gli architetti del passato, come per quelli contemporanei e futuri, e lo stesso Borromini non sfugge a questo passaggio – o, per meglio dire, confronto – obbligato con l’antico. Ma, forte, della sua specializzazione come architetto puro, egli persegue con rigore il suo programma di rinnovamento, al fine di proporre un superamento del manierismo e un ordine nuovo. Le sue opere definite dai critici “chimeriche strutture”, testimoniano invece della sua eccezionale ricchezza inventiva e della sua perenne ricerca di affinamento di uno stile… inconfondibile.
Come mai definiamo Borromini un architetto “puro”? Perché lui è partito concretamente “dal basso”, risalendo tutti i ripidi gradini della lunga scala che conduce alla padronanza della tecnica, della materia prima e dei suoi segreti, prima ancora di dare voce e sfogo alla sua creatività architettonica e visionaria. Borromini inizia il suo percorso artistico a soli nove anni, quando, spinto e appoggiato da suo padre, si reca a Milano come intagliatore di marmi. Perché la materia va conosciuta, analizzata, toccata, prima di poterla piegare ai capricci dell’inventiva. Borromini biografia
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Ma Roma chiama l’arte e viceversa, così nel 1620 Francesco Borromini giunge nella Città Eterna, dove lavora come scalpellino nel cantiere più grande della cristianità: San Pietro in Vaticano. Lì esegue teste di angeli, cherubini, balaustre, festoni; l’architetto e direttore dei lavori Carlo Maderno, ormai anziano, gli affida l’esecuzione dei disegni di architetture della basilica. Ed è proprio in San Pietro che le visioni artistiche dei due grandi sono messe a confronto. Verso il 1631, infatti, Borromini e Bernini lavorano al completamento del celeberrimo Baldacchino, dove Gian Lorenzo accetta le felici soluzioni del collaboratore, che fornisce valido appoggio soprattutto dal punto di vista tecnico e della messa in opera.
Ma l’idillio presto si rompe, perché i primi contrasti affiorano durante la collaborazione per la costruzione di Palazzo Barberini: differenze di gusto, contrastanti interpretazioni dei dettagli architettonici evidenziano inevitabilmente obiettivi linguistici inconciliabili. In questa residenza principesca nel cuore di Roma, Borromini realizza una mirabolante scala elicoidale… Forse Bernini si sente spiazzato dalla dimestichezza con la quale Borromini “scherza” con lo spazio, mettendo in discussione il suo linguaggio più classicista? Borromini biografia
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Non è da escludere che questa cooperazione conflittuale abbia segnatoil primo atto di quella messinscena teatrale in puro spirito barocco, che poi troverà piena rappresentazione – come vedremo – nella leggenda della Fontana dei Fiumi. Il riconoscimento ufficiale stenta ad arrivare per Borromini, che vive veri e propri momenti di crisi psicologica acuita dalla presenza a dir poco accentratrice e ingombrante di Bernini; eppure, la svolta nella sua carriera arriva proprio grazie al suo “eterno rivale”. Infatti, nel 1634, giunge la prima occasione di un lavoro autonomo: il monastero e la chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane, commissionata dall’ordine dei Trinitari. Borromini biografia
Come mai il burrascoso architetto sembra improvvisamente colpito dal fascio di una luce benevola e propizia? Strano – se non incredibile – a dirsi, ma quest’ avanzamento di carriera è dovuto proprio all’intercessione dello stesso Bernini, che suggerisce al papa di promuovere Borromini come architetto alla Sapienza. Secondo alcuni maligni, quello che a prima vista può sembrare un gesto magnanimo, in realtà sarebbe un abile stratagemma messo in atto da Gian Lorenzo per sbarazzarsi di Francesco, che da assistente si sta evidentemente trasformando in uno scomodo, quanto pericoloso concorrente. In quella che Borromini definisce la sua “opera prima” è riassunta in nuce tutta la sua concezione architettonica e spaziale: colonne, cornicioni, atri, cupole, finestre, nicchie, mura perimetrali, facciate.
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Lo spazio, le dimensioni, tutto non è che uno stato psichico, e in quanto tale,. duttile e suscettibile di continue modificazioni che creano ampiezze anche laddove lo spazio è limitato. Una pianta ellittica ottenuta facendo coincidere due triangoli alla base,. permette a Borromini di creare un ambiente che tende a un continuo ritrarsi ed espandersi verso l’infinito.
Diventa una sorta di prestigiatore a tal punto abile, da farci vivere delle illusioni dove vediamo e crediamo tutto ciò che egli vuole. Come nel caso della galleria prospettica di Palazzo Spada: lunga poco più di otto metri, sembra estesa fino ai trentacinque! Tutto è artificio, retorica, (dis)illusione… e questo Borromini lo sa bene.
Dall’esperienza di San Carlo alle Quattro Fontane (chiamata familiarmente San Carlino) in poi, è un’infilata di successi lavorativi: il volto di Roma barocca è ridisegnato grazie a un’architettura severa e funzionale, ben rappresentata dai progetti per l’Oratorio dei Filippini e il Collegio di Propaganda Fide, a due passi da Piazza di Spagna. Le facciate di questi edifici seguono un andamento concavo allo stesso tempo rientrante ed espansivo, proprio come una persona schiva che vive di slanci emotivi verso il prossimo. Mai come in questo caso, l’etica artistica riflette la personalità dell’architetto/creatore. Ma Borromini punta anche e soprattutto verso l’alto, delineando lo skyline della città: il campanile della chiesa di Sant’Andrea delle Fratte è classico, composto, ma anche “grottesco”; immortale è la lanterna spiraliforme – quasi una trovata circense – che sovrasta la cupola di Sant’Ivo alla Sapienza, dove vengono raggiunti i massimi valori di tensione verticale. Borromini biografia
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Per quanto riguarda la chiesa di Sant’Andrea,. curiosa coincidenza vuole che pure stavolta Bernini sia l’ospite invadente e indesiderato volto a rubare la scena al padrone di casa. Sì, perché nonostante il campanile borrominiano,. l’edificio religioso è oggi noto soprattutto per i due splendidi angeli marmorei realizzati da Bernini per Ponte Sant’Angelo. su commissione di papa Clemente IX, e poi spostati all’interno della chiesa perché ritenuti troppo belli perché siano esposti alle intemperie. Insomma, anche se non per loro scelta, sembra non esserci pace per i due massimi esponenti del barocco romano! Ma lo scontro per eccellenza,. che nel tempo ha acquisito i toni del mito, si consuma proprio in uno dei più bei “teatri urbanistici” di Roma barocca: Piazza Navona. Borromini biografia
Ma è corretto parlare di vero e proprio scontro? Se Roma è una grande città, è altrettanto vero che l’ambiente artistico è un’enclave ristretta dove è difficile far convivere due o più personalità talmente antitetiche. E così, ancora una volta,. Bernini e Borromini finiscono con l’”inciampare” l’uno nell’altro… Ma andiamo con ordine. Il periodo di massima creatività e di fortuna lavorativa di Borromini coincide col papato di Innocenzo X Pamphili, che impone una battuta d’arresto nell’ascesa di Bernini. Questo perché il nuovo papa è meno sensibile all’arte rispetto a Urbano VIII, suo predecessore, membro della famiglia rivale dei Barberini, nonché protettore di Bernini.
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Va anche detto che Innocenzo si trova a dover gestire un papato con molti meno soldi in cassa, a causa dell’eccessiva prodigalità di Urbano, il quale non ha badato a spese pur di alimentare il suo mecenatismo. L’intenzione da parte di Innocenzo X di servirsi il meno possibile degli artisti prediletti da Urbano VIII si manifesta nel favore concesso allo scultore Alessandro Algardi e – guarda un po’ – a Francesco Borromini, che riceve un incarico prestigiosissimo: il restauro di San Giovanni in Laterano, una delle più antiche basiliche di Roma. Borromini biografia
Nonostante questa manifesta ostilità, papa Innocenzo si accorge che non può continuare a ignorare Bernini,. tanto da ammettere: «L’unico modo per evitare di eseguire le sue opere è non vedere i progetti». Insomma, una sorta di “occhio non vede cuore non duole”! La tentazione è forte e,. dopotutto, cedere è nella natura umana, persino per il vicario di Dio in terra. E così, la visione del disegno di Bernini per la Fontana dei Fiumi convince il papa a valersi del grande artista per realizzare la fontana in Piazza Navona,. luogo deputato a rappresentare il nuovo potere direttivo della famiglia Pamphili.
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Ma Innocenzo X non è un uomo di poche pretese, e così per la “sua” piazza vuole anche l’intervento dell’altro grande architetto del tempo: di nuovo, Borromini e Bernini si trovano a fronteggiarsi sullo stesso terreno di gioco. I due architetti diventano “dirimpettai” perché,. proprio di fronte alla Fontana dei Fiumi di Gian Lorenzo, sorge la chiesa di Sant’Agnese in Agone di Francesco. La stima che il papa nutre per Borromini si evince dal fatto che l’architetto subentra a Girolamo e Carlo Rainaldi, licenziati senza troppi complimenti a causa delle molte criticità emerse nei loro progetti.
Anche stavolta, Borromini non si smentisce e la sua spinta innovatrice colpisce nel segno: la facciata della chiesa presenta una movimentata pianta concava (vera e propria “firma” dell’architetto) ritmata da colonne, lesene, capitelli e un timpano classicheggianti. Due campanili poggiano sulle ali laterali, valorizzando il moto ascensionale della grande cupola impostata su un alto tamburo.
Questa, ispirata al modello michelangiolesco ma allo stesso tempo snellita nelle proporzioni,. diverrà in breve tempo il prototipo per le future cupole erette a Roma. Nel frattempo, siamo giunti a chiudere il cerchio della nostra narrazione, perché è proprio qui,. nel teatro di una delle piazze più belle di Roma – e del mondo – che la storia dell’arte si fa mito e leggenda. Sì, perché in due degli atteggiamenti assunti dalle statue berniniane della Fontana dei Fiumi,. i racconti popolari a metà fra vulgata e pamphlet romanzato, vogliono vedere manifesta la rivalità tra queste due grandi antitesi dell’architettura. Borromini biografia
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Si dice, infatti, che Bernini avrebbe ideato la posa della statua che rappresenta il Rio della Plata, come se sembrasse terrorizzata dalla chiesa di Sant’Agnese, opera del suo rivale. Effettivamente, il colosso, prosopopea del fiume americano, ha una posa teatralmente sbilanciata: il ginocchio destro e il braccio sinistro si sollevano verso l’alto, mentre sembra ricadere all’indietro con la schiena, proprio nell’atteggiamento di una persona che istintivamente fa per ripararsi da una struttura che le sta crollando addosso! Un altro simbolo del disgusto provato da Bernini verso il lavoro di Borromini, sarebbe celato anche nella statua che raffigura il Nilo. Borromini biografia
Il possente uomo barbuto avrebbe la testa velata, proprio per non vedere la “bruttura” di Borromini. Sempre secondo la leggenda, Bernini avrebbe voluto vendicarsi di Borromini che, anni addietro, aveva apertamente criticato i campanili progettati da Bernini per la facciata della basilica di San Pietro. Ma questa simpatica diceria si scontra con un’altra realtà di fatto: la fontana era stata inaugurata già nel 1651, mentre la chiesa di Sant’Agnese viene costruita tra il 1653 e il 1657. Le date non coincidenti, quindi, non permettono di supportare questo abile aneddoto fantasioso. Per inciso, va chiarito che il Nilo ha il volto coperto perché, all’epoca, era considerato un fiume parzialmente segreto e misterioso, poiché non se ne conosceva l’ubicazione delle sorgenti.
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Purtroppo, al di là di questi racconti più o meno fantasiosi, la vita di Francesco Borromini sembra essere stata caratterizzata dai tratti propri di un vero psicodramma. E, come tutti i drammi, il finale non è lieto. La salita al trono vaticano di papa Alessandro VII Chigi, nel 1655, segna il declino professionale del nostro architetto, sempre più preda di un’attanagliante crisi psicologica, resa più morbosa dal ritorno in auge di Bernini come architetto di punta della corte papale.
Ormai, per Borromini, Bernini assume i contorni di un incubo costante, quasi di un demone o di uno spettro infestante che lo tormenterà fino alla fine dei suoi giorni. Una fine scelta con la delirante autoconsapevolezza del suicidio. Nell’estate del 1667 la sua salute, già travagliata da feroci disturbi nervosi e depressivi, si aggrava a causa di febbri e di un’insonnia cronica. Un altro duro colpo gli è inferto dalla morte del suo amico Virgilio Spada, tesoriere e consigliere architettonico per papa Innocenzo X.
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La vertigine nervosa e depressiva lo risucchia sempre più fino a quando,. la sera del primo agosto, Borromini si lascia cadere su una spada,. morendo agonizzante solo alle prime luci dell’alba. Stando alla testimonianza del suo servo,. l’architetto si uccide al culmine di un banale alterco subito degenerato in un impulso d’ira autolesionista.
Negli ultimi momenti di lucidità è in grado di dettare i suoi ultimi voleri, incluso il desiderio di essere sepolto nella chiesa di San Giovanni dei Fiorentini,. vicino all’architetto Carlo Maderno – suo parente alla lontana – che ha sempre stimato e con cui ha collaborato anche nei cantieri della chiesa di Sant’Andrea della Valle e di Palazzo Barberini. L’ultima fase della vita di Francesco Borromini potrebbe essere definita come la “cronaca di una morte annunciata”, forse anche come l’esito ineludibile di un’esistenza perennemente in bilico sull’abisso emotivo e psicologico dove «egli si trovò sì profondato e fisso in un continuo pensare, che fuggiva al possibile la conversazione degli uomini standosene solo in casa, in nulla d’altro occupato, che nel continuo giro dei torbidi pensieri».
Articoli di Danilo Borri – Laurea in Beni Culturali.
Borromini biografia