Barriera Corallina severamente a rischio. Non meno di poche settimane fa, un gruppo di ricercatori aveva scoperto una nuova barriera corallina, nella Grande Barriera Corallina australiana, la prima scoperta del genere in 120 anni. Eppure oggi, uno dei fiori all’occhiello dell’industria turistica, rischia severamente di essere compromessa.
La notizia, che ha fatto il giro del web in poche ore, diffusasi giorno 4 novembre, racconta come uno dei patrimoni UNESCO più importanti, che si estende per ben 2300 km a largo della Costa Nord australiana, sta vivendo, a causa delle condizioni climatiche, un grave stato di retrocessione.
Le sue condizioni definite “preoccupanti e significative”, rendono degradante il suo “stato di salute”; che dal 2017 ad oggi è definito “critico”.
L’indagine è stata condotta dai ricercatori dell’International Union for Conservation of Nature (IUCN), consulente del comitato UNESCO per il patrimonio Mondiale.
Globalmente, le variazioni delle condizioni climatiche, hanno sostituito le specie invasive, come la minaccia più rilevante ai siti della ricchezza ambientale di tutto il mondo.
Ma questa regressione, oggi è un ammonimento anche per il turismo che già a fatica si sta riprendendo dalla pandemia Covid-19.
“Il cambiamento climatico, il deflusso di scarichi agricoli, gli impatti dello sviluppo urbano costiero e della pesca, costituiscono le maggiori minacce alla conservazione di lungo termine della Grande Barriera Corallina“. Così si evince dal rapporto della IUCN, detto World Heritage Outlook Report.
Barriera Corallina severamente a rischio: una sparanza dall’Università di Granada (UGR)
L’Università di Granada (UGR) è co-leader di una campagna di ricerca che è condotta nella Grande Barriera Corallina (GBR) australiana. Geologi, biologi ed ecologisti marini di varie università e centri d’indagine della zona, hanno partecipato all’operazione.
Il punto focale della spedizione è stato rappresentato dalla nave di ricerca Falkor, che in data 30 settembre, fino al 17 novembre ha dato il via a questa nuova sensazionale scoperta.
Il lavoro è finanziato dallo Schmidt Ocean Institute, un’organizzazione no-profit dedita al progresso e alla diffusione della conoscenza sul oceani del mondo.
Per quanto ovvio, da restrizioni Covid-19 i ricercatori partecipanti erano pochissimi e solo australiani. La maggior parte del team ha operato da remoto dando un grosso supporto tecnico.
Un membro dello staff è Ángel Puga Bernabéu, ricercatore presso il Dipartimento di Stratigrafia Paleontologia dell’UGR, che co-dirige questa campagna a distanza da Granada.
Puga, spiega una nuova aggiunta particolarmente importante, alla base della conoscenza relativa al GBR:
“Il 21 ottobre, il Falkor ha scoperto una nuova barriera corallina ‘staccata’, che misurava 500 metri di altezza dal fondo del mare. La sua parte più bassa, misurava 300 metri di lunghezza e 50 di larghezza; si trova a una profondità di circa 40 metri. Questa nuova barriera corallina è la prima scoperta nella GBR in 120 anni. Inoltre, le immagini scattate dal veicolo subacqueo telecomandato (ROUV) mostrano un’enorme diversità di organismi bentonici (cioè quelli che vivono sul fondo del mare) e pesci su questa nuova barriera corallina”.
La nave Falkor e il sonar sonar multibeam
Il Falkor, ha tentato nel periodo di attività, di far luce sulle molte incognite che sono rimaste.
Ha effettuato anche una mappatura estesa del fondale marino. Il metodo utilizzato è con un sonar multibeam – un tipo di sonar utilizzato per mappare il fondale marino – ad alta risoluzione.
In aggiunta, ci sono anche le immagini video e i campioni biologici di roccia e sedimenti, ottenuti dal ROUV SuBastian.
(Il nome –ROUV SuBastian – deriva dal simpatico personaggio Disney de La Sirenetta e che ha compiuto, la sua 400a immersione durante questa campagna).
L’obiettivo della mappatura era di riuscire a rispondere ad alcune importanti domande geologiche.
Ad esempio: che forma hanno i canyon sottomarini in quest’area e che attività si svolgono lì? Ci sono barriere coralline “inabissate” nella zona? Qual è l’origine degli straordinari scogli distaccati?
I canyon sottomarini sono grandi vallate, immerse profondamente dai lati scoscesi; simili alle valli attraverso le quali i fiumi scorrono sulla terraferma.
Proprio come i fiumi, i canyon sottomarini trasportano detriti lungo i loro canali; tuttavia in questo caso, il materiale deriva dalle secche situate nelle zone costiere e dal versante continentale.
Da lì, i sedimenti (insieme ai nutrienti associati e al carbonio organico) si muovono attraverso i canyon e si accumulano, dove finiscono, in modo simile ai delta alla foce dei fiumi.
Le cosiddette scogliere “affondate ” sono simili alle quelle di oggi; ma si sono sviluppate in un’epoca in cui il livello del mare era molto più basso di adesso; ad esempio, durante l’ultimo periodo glaciale, di circa 20.000 anni fa, quando la quota era più o meno di 120 m più basso di quello attuale.
GBR: la mappatura dei ricercatori
Con il progressivo innalzamento del livello del mare, queste scogliere sono state sommerse insieme alle comunità biologiche che le hanno formate, in particolare i coralli.
L’identificazione di questo tipo di scogli, fornisce informazioni preziose con cui ricostruire le variazioni dello standard delle acque marine nel recente passato.
Le scogliere staccate sono quelle che si sono separate dalla GBR a pochi chilometri dal bordo della piattaforma.
Le loro origini non sono chiare ma possono essersi sviluppate su piccoli frammenti del continente che si sono staccati dalla terra a causa di spostamenti tettonici.
“In questa fase della campagna, abbiamo già fatto alcune affascinanti scoperte che indicano diversi anni di lavoro per gli scienziati“, spiega Puga.
Ad esempio, i ricercatori hanno mappato con successo l’intera frana sottomarina Swain Slide. Questo grande spostamento è costituito da scogliere e sedimenti che si sono allontanati dalla piattaforma continentale e sono scivolati lungo il margine, a circa 250 km dalla costa.
“Questa frana è larga circa 10 chilometri e il materiale sciolto ha viaggiato per oltre 20 chilometri attraverso il fondale marino. Le immagini scattate in questa campagna mostrano enormi blocchi di materiale intatto circondati da molti blocchi più piccoli e detriti“; rileva Puga.
Capire cosa ha innescato quest’importante spostamento subacqueo è di grande interesse scientifico.
Eventi catastrofici di questo tipo, possono generare tsunami che colpiscono l’intera costa nel giro di poche ore.
Oltre a danneggiare le infrastrutture sottomarine, come i cavi di comunicazione o le condutture. Tuttavia, sia le pareti lesionate dalla frana, che i blocchi staccati, offrono anche un ambiente ideale per la colonizzazione da parte di vari organismi diversi.