Quella di Antonio Ligabue, artista Naif, è un’arte che nasce dalla mancanza, dall’impossibilità di vivere un’infanzia felice, dal comunicare e amare. È la vicenda di un uomo considerato pazzo, che vive ai margini, uno dei tanti destinati all’oblio. Una storia che possiamo leggere negli autoritratti, dietro quegli occhi penetranti e sotto la fronte corrugata di questo genio senza regole.
Antonio Ligabue: l’artista matto di Gualtieri
Nasce al di là delle Alpi, in Svizzera a Zurigo, il 18 dicembre 1899 da Elisabetta Costa, e padre ignoto. Successivamente la madre sposa Bonfiglio Laccabue che riconosce Antonio come figlio e gli dona il suo cognome. La madre – un’emigrante italiana – e patrigno, sono molto poveri e il piccolo viene affidato ad una coppia di svizzeri di lingua tedesca.
Tuttavia, “quel bambino è strano“, chiuso in un ostinato silenzio che spesso sfocia in violente crisi nervose. Perciò, incapaci di gestire i comportamenti del giovane, la coppia che lo ha in affidamento lo consegna ad un istituto per ragazzi problematici dal quale, a soli 16 anni, sarà espulso. Un’odissea che segna per sempre l’esistenza di Antonio Ligabue come anche il suo lavoro. Inoltre, nel 1919 sarà espulso dalla Svizzera, per la sua vita turbolenta, arrivando a Gualtieri, paese d’origine del padre adottivo.
L’impatto con il nuovo ambiente si rivela da subito triste, perché vive grazie all’aiuto dell’Ospizio di mendicità Carri. Quella che sembra a molti l’incomprensione di una vita delirante è, più semplicemente, il suo essere più intimo cha sarà poi il focus della sua pittura. La sua fama, legata alla sua “giungla fantastica” lo rende in poco tempo il più importante portavoce dell’arte naif del bel paese. Sin da giovane il suo talento, rispetto ad altri coetanei, lo aveva distinto per qualità e operosità.
L’incontro con Mazzacurati
Nel 1920, gli venne offerto un lavoro agli argini del Po; proprio in quel periodo iniziò a dipingere. Sono gli anni in cui Ligabue incontra a Gualtieri, Marino Mazzacurati, incontro che cambiò definitivamente il suo destino. Dal pittore e scultore romagnolo, Ligabue apprende molto, e sboccia, come la perfetta incarnazione dell’artista popolare: poeta contadino autodidatta e istintivo. Capace di trasportare i suoi demoni sulla tela, creando opere potenti, dall’immediato impatto visivo. Negli anni successivi al ’20, a fasi alterne, uno stato depressivo lo portò ad entrare ed uscire dal manicomio. I disturbi di cui soffriva, lo spingevano a vivere isolato dal mondo.
Spesso, si tratta di animali nell’attimo primo di lanciarsi sulla preda. A volte erano in lotta tra loro, come ad esempio in Leopardo con Serpente (1952). La sua creatività è dirompente, ed oltre che pittore è anche abile scultore. Creò diverse opere con l’argilla del Po, che masticò per renderla più malleabile. Nel 1948, la sua attività pittorica si fece più intensa e giornalisti, critici e mercanti d’arte iniziarono a interessarsi a lui. Nel 1937, sarà ricoverato nuovamente, ciononostante continuerà a dipingere e creare. Poi, grazie all’intervento di Mazzacurati, verrà dimesso.
La fama e la morte
Dopo il 1948, a seguito della guerra, periodo in cui lo stesso fu ingaggiato come interprete dai tedeschi, (dove fu di nuovo ricoverato in manicomio per una lite con un soldato), la fortuna sembrò finalmente bussare alla sua porta. Vinse dei premi, vendette quadri e iniziò ad essere seriamente stimato dal panorama artistico europeo.
Anche Severo Boschi – firma de Il Resto del Carlino – e il noto fotoreporter Aldo Ferrari gli fecero visita a Gualtieri nel 1957. Ne seguirà un servizio sul quotidiano, con immagini tuttora celebri che lo incoronano come artista acclamato. Infatti, nel 1961, c’è la sua prima mostra personale alla Galleria La Barcaccia di Roma. Lo stesso anno però, un incidente in motocicletta lo condusse alla tragica fine. Morirà nel 1965. Lascerà un inestimabile patrimonio di quadri dedicati agli animali dei quali Ligabue diceva:
“Io so come sono fatti anche dentro”!
Dai cavalli, alle lotte da pollaio, fra galli spumeggianti, serpenti e aquile che lottano per la sopravvivenza, è una vera giungla. Che l’artista immagina con allucinata fantasia fra i boschi del Po ed esprime tutto il dramma della propria esistenza. Questo lo accomuna ad artisti come Utrillo, casi in cui il potere terapeutico dell’arte ci spalanca un mondo interiore ancora da scoprire.
In copertina: Antonio Ligabue, Leopardo, olio su faesite, 1955 (cm 64×79.7)
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