Trasferimento dei richiedenti asilo dai Cas alle navi quarantena, è polemica

Trasferimento dei richiedenti asilo dai Cas alle navi quarantena, è polemica

ROMA – Trasferimento dei richiedenti asilo dai Cas alle navi quarantena, è polemica. Medici per i Diritti Umani esprime infatti sconcerto e disapprovazione per i recenti trasferimenti presso le navi quarantena di Trapani, Palermo e Bari dei richiedenti asilo accolti in alcuni Cas di Roma e risultati positivi al Covid-19. Proprio così.

Tale decisione, per Medu, appare “del tutto irragionevole e dannosa”, come si legge in una nota. Irragionevole, perché, come più volte suggerito alle istituzioni competenti dalle associazioni riunite nel Tavolo Immigrazione e Salute e nel Tavolo asilo, sarebbe stato sufficiente predisporre per tempo strutture di prossimità per l’isolamento dei casi positivi, ricorrendo anche ad alberghi in disuso o a beni confiscati. Una misura peraltro prevista dal Decreto Rilancio.

Trasferimento dei richiedenti asilo dai Cas alle navi quarantena, è polemica

Non è tutto. Si parla anche di “decisione dannosa” perché i trasferimenti comportano lo sradicamento dal territorio, la perdita del posto presso i Cas, l’allontanamento dalle Questure e dalle figure di riferimento per proseguire l’iter della richiesta di asilo, la sospensione dei percorsi di inclusione sociale e spesso anche di cura. Tra i richiedenti asilo è oltretutto presente un’elevata percentuale di casi vulnerabili. Tra questi vi sono le persone sopravvissute a torture e trattamenti inumani e degradanti nei Paesi di origine e di transito, particolarmente in Libia.

E non è finita. Medu ribadisce la necessità e l’urgenza di predisporre nell’immediato strutture territoriali di prossimità per l’isolamento dei casi positivi con figure sanitarie adeguate. E poi c’è la possibilità di informare in modo esaustivo e puntuale le persone isolate sui rischi. Infine, le misure previste per il contenimento del virus. Esattamente. Come Medu ha modo di constatare ogni giorno, le misure attualmente adottate nella Capitale per la gestione della pandemia tra i rifugiati e le persone senza fissa dimora risultano “palesemente insufficienti a garantire la tutela della salute individuale e pubblica”.