Occupazione: 1 lavoratore su 2 teme licenziamenti, di certo non è una novità, eppure tutto ciò che si lega indissolubilmente a questo aspetto, va ben oltre l’immaginario della paura collettiva.
Il motivo è perché perdere il lavoro, rappresenta per tutti sia un impedimento nobilitante; sia, a livello emotivo, un’escalation di problemi da superare a cui non tutti sono in grado di far fronte e a cui, non a tutti, è permesso di recuperare.
L’istruzione, l’età e lo stato di salute di un individuo possono già di per sé presentare barriere o opportunità per l’occupazione; esattamente come – ad esempio – per l’economia, la base imponibile e il numero d’immigrati ed emigranti di una regione, possono influire sulla disponibilità di lavoro.
Occupazione: 1 lavoratore su 2 teme licenziamenti – dall’ISTAT al Coronavirus
Pescara, 9 agosto 2020. La ricerca ISTAT – Istituto nazionale di statistica – esamina in parte l’impatto di una serie di politiche e forze – personali, regionali e globali – sull’occupazione e sulla disoccupazione. Ma in parole povere è opportuno dire che in base ai dati raccolti dall’ente, dal 2015 al 2020 il tasso di disoccupazione è aumentato.
Che si voglia nascondere la problematica dietro l’impatto del Covid-19 non cambia che, quantomeno in Italia, le cose stavano precipitando molto tempo prima.
Dunque se dal 2015 al 2020 l’ISTAT registra un aumento dell’8,8% in più, (con un incremento del +0,6 punti) già a giugno 2020; non è che questo accrescimento sia tutto vittima della pandemia.
Tra i giovani, sempre sulla base della recente statistica, l’aumento si avverte con un 27,6% (e un + 1,9 punti).
In aggiunta ad un quadro “clinico” già abbastanza pesante, si unisce che per un valore di 484 mila unità (- 23,9% nella fattispecie) diminuisce come conseguenza, il numero di chi cerca un impiego.
Sfiducia, mancanza di volontà, lassismo, sono probabilmente tra le prime cause emotive. Ma tra le ragioni, non declinabili ad altre cause arriva la mancanza di attendibilità o peggio la mancanza di opportunità concrete che unite alla burocrazia attuale rendono esoso qualsiasi spostamento verso una condizione papabile.
In aggiunta, per tornare all’oggetto, chi lavora – soprattutto in questa fase storica – dove sussiste la dislocazione economica causata dalla pandemia COVID-19, è penalizzato da misure, che mettono “il carico da 90” sull’intera questione.
Perché accade tutto questo?
Andiamo per gradi. Ci sono stati 4 anni di migliorie apportate al settore lavoro-occupazione. Migliorie che, sono andate di volta in volta ritoccate fino all’arrivo – oggi – del Coronavirus.
Una situazione delicata come il mondo delle professioni, con la comparsa della pandemia non poteva che incrinare una “leggera” stabilità ottenuta nei diversi governi che hanno lavorato in questo settore.
In base all’osservazione accurata sul documento delle Prospettive sull’occupazione 2020, presentato dall’Ocse nei giorni scorsi, in Italia il tasso di disoccupazione raggiungerà, infatti, il 12,4% entro la fine del 2020.
E come spiega l’Ocse – Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – in caso di una seconda ondata di contagi sembra esserci il rischio concreto di una mancanza di lavoro «strutturalmente a livelli elevati nel medio e lungo periodo».
Al momento, con una manovra da 25 miliardi di euro, c’è il blocco dei licenziamenti in vigore fino al 16 Novembre – così come rilanciato dal Consiglio dei ministri due giorni fa e in precedenza prescritto dall’art. 46 del decreto Cura Italia – ma la paura di ritrovarsi senza lavoro serpeggia in modo diffuso tra i dipendenti italiani.
In altre parole, la sicurezza in Italia “non s’ha da fare …” [cit.] in nessuna circostanza. Intanto gli italiani vivono su doppie linee parallele.
A fare luce su questo timore che si spande a macchia d’olio anche un recente sondaggio Swg, realizzato durante gli ultimi giorni di luglio.
Eseguito su un campione rappresentativo della popolazione, svela che il 51% dei lavoratori teme dei licenziamenti. Più precisamente, oltre la metà degli intervistati ritiene probabile la perdita del posto di lavoro.
L’indagine a campione sul Bel Paese
Se da una parte quindi il 49% dei lavoratori non vede (o non sente il peso) di un licenziamento – con la certezza di essere collocato in un’azienda o in un ente solido – il 32% dei dipendenti, pensa che nella propria azienda ci saranno probabilmente dei tagli.
Il 17% degli intervistati, è più pessimista e teme di poter essere coinvolto in prima persona negli esoneri.
In conclusione, il restante 2% del campione afferma di essere già stato licenziato. E le previsioni dell’Ocse dimostrano che questi timori non sono completamente infondati.
Occupazione: 1 lavoratore su 2 ha paura del licenziamento. Come comportarsi dunque?
L’Ocse sottolinea l’importanza di «agire rapidamente per aiutare i propri giovani a mantenere un legame con il mercato del lavoro; per esempio riprendendo e rinnovando significativamente il programma Garanzia giovani”. O varando ulteriori incentivi all’assunzione».
Purtroppo, alcuni settori – più di altri – sono a rischio. Tra questi il turismo, la ristorazione e il piccolo commercio. In questi casi, l’ente rileva che sia opportuno consigliare al singolo lavoratore, di non farsi cogliere impreparato e di provare a rivolgersi a dei recruiter per affrontare al meglio il cambiamento lavorativo.
Parole che, all’atto pratico, poco concordano con la realtà, in quanto non è possibile prevedere determinate sfaccettature. La soluzione più giusta sarebbe quella di attendere e vedere di volta in volta l’evolversi della situazione. Questo non consolerà gli italiani che ancora sono messi in tensione da semplici estensioni risolutive. Tutto sta nel vedere amaramente cosa ci riserverà il futuro.