ROMA – Attenti al falso made in Italy sul web. Proprio così. L’allarme viene lanciato dagli operatori di settore. Con il mercato on line in espansione a seguito di lockdown e provvedimenti restrittivi vari determinati dalla pandemia, anche Internet comincia a essere un serio problema per il cosiddetto “italian sounding”. Con tale espressione, infatti, ci si riferisce a tutte quelle eccellenze agroalimentari del Belpaese che subiscono la concorrenza sleale di prodotti che nulla hanno a che vedere con l’Italia, ma che di fatto traggono in inganno perché portano nomi truffaldini, atti appunto a richiamare un qualche legame con la nostra nazione. L’esempio più lampante è quello del celebre “parmesan”, formaggio americano di bassa qualità che fa però pensare al più famoso “parmigiano”. Chi non conosce bene le differenze, ingenuamente compra, facendo così un doppio danno: a se stesso (come consumatore) e all’economia italiana.
Un problema di questi tempi è anche rappresentato dal “Prosek”, che non va confuso con il Prosecco: “Il Prosek – ha affermato il ministro dell’agricoltura Stefano Patuanelli – non ha un’incidenza economica rilevantissima, perchè parliamo di piccole produzioni rispetto a grandi produzioni italiane. Ma possono rappresentare quella chiave per aprire un cassetto che poi non si chiude più di minor tutela delle indicazioni. Non mi spaventa qualche decina di migliaia di bottiglie di Prosek, che è un vino liquoroso prodotto in Croazia, rispetto a ciò che rappresenta il prosecco nel mondo. Mi preoccupa se passa il messaggio che non c’è più protezione reale dell’indicazione Dop Igp. Quindi dovremo convincere sulla nostra posizione Paesi che hanno un sistema produttivo simile al nostro, come Francia e Spagna”.
Attenti al falso made in Italy sul web
Secondo le elaborazioni dei commercialisti, il Made in Italy è il cluster che, dopo aver pagato il prezzo più alto della crisi economica, paga il prezzo più alto anche in seguito alla pandemia. Nel 2020, infatti, i cinque cluster che compongono il Made in Italy, e cioè Agroalimentare, Turismo, Cultura, Moda-accessori e Meccanica, hanno perso il 18,7% di valore aggiunto prodotto contro il -10,6% di media del totale Cluster e il -8,6% dell’intera economia. Rispetto al 2019, il Made in Italy perde quasi quattro punti di quota passando dal 20,2% al 16,4%. Nel complesso, invece, i cluster perdono il 10,6% sul 2019 e la loro quota passa dal 48,6% al 47,5% facendo registrare una perdita di 1,1 punti percentuali.
Rispetto al 2007, anno pre-crisi economico-finanziaria, le imprese dei Cluster hanno perso il 16% di valore aggiunto prodotto rispetto al -11,3% dell’intera economia. Al netto della crisi Covid-19, le stesse aziende, rispetto al 2007, avevano subito un calo del valore aggiunto del 6%. Un abbassamento superiore a quello medio dell’intera economia, pari a -3%. È evidente come la crisi Covid abbia avuto un impatto molto forte sui Cluster produttivi esaminati nello studio dei commercialisti. Come è innegabile che si sia aggiunto agli effetti già molto negativi delle due crisi precedenti, relative al 2008 e 2011. Dati importanti, che non si possono ignorare.