Ritrovate targhette identificative dei bambini nel campo di sterminio di Sobibor
Olocausto, una parola che corre in una memoria atavica. Un dolore mai superato. Una pagina di storia che l’umanità non potrà mai risanare. Un termine, che solo a ricordarlo, mette i brividi. E nonostante gli anni che ci separano dall’infamia di cui le passate civiltà si sono macchiate, ancora oggi ne riceviamo cenni.
Ognuna di queste voci sembra riecheggiare, come la condotta reiterata di un sicario silenzioso; l’ignominia cui oggi ancora ci perseguita. Come la tragica storia del campo di sterminio di Sobibor (Polonia); tornata alla sua triste ribalta nelle ultime ore con la notizia di un ritrovamento di targhette identificative di bambini, rinvenute nel campo di sterminio nazista.
Quattro bambini, vittime di un regime folle e fuori controllo. Quattro nomi, che si uniscono agli altri 17 milioni – circa – di persone che persero la loro vita, come risultato diretto dei processi di “arianizzazione” promossi dal regime nazista, tra il 1933 e il 1945. Il ritrovamento, ha identificato queste targhette di metallo che probabilmente sono state date ai bambini dagli stessi genitori prima che venissero separati.
Con molta probabilità – sostengono i ricercatori – i genitori avevano sperato che le placche, avrebbero aiutato i bambini a tornare a casa. La tesi – visto che ogni etichetta metallica è diversa – lascia pensare che probabilmente il motivo è questo.Lo afferma Yoram Haimi, un archeologo della Israel Antiquities Authority, che lavora al sito e che racconta, come lo zio fu ucciso proprio in questo campo.
“Ogni piccolo reperto che abbiamo porta con sé una storia. È la storia della comunità da cui sono venuti a Sobibor“, ha dichiarato Haimi.
I bambini smarriti dell’Olocausto: la fabbrica della morte
Durante l’Olocausto, i nazisti uccisero 6 milioni di ebrei. Si uniscono le uccisioni di persone con disabilità, rom, polacchi e altri popoli slavi. Solo a Sobibor, circa 250.000 persone – soprattutto ebrei polacchi – furono uccise tra il maggio 1942 e l’ottobre 1943 (secondo l’Enciclopedia Britannica).
Sobibor era collegata a una linea ferroviaria che portava gli ebrei da tutta Europa; ed è stato vicino alla piattaforma ferroviaria del campo, che Haimi e i suoi colleghi hanno trovato la prima targhetta, che apparteneva a Lea Judith De La Penha di 6 anni, uccisa nel 1943 – secondo una dichiarazione rilasciata dalla Israel Antiquities Authority.
Gli scavi hanno anche scoperto la camera a gas del campo, che era un edificio di 3.700 piedi quadrati (350 metri quadrati) con otto stanze.
Sulla base di queste ricerche, “possiamo affermare che ogni volta si possono mettere da 800 a 900 persone in questa camera a gas, accendere il motore del serbatoio e uccidere in 10 minuti 900 persone. È una fabbrica di uccisioni“, ha detto Haimi.
Bambini
La squadra ha dissotterrato le altre tre targhette tra il 2012 e il 2014 nella “zona di uccisione” del campo, che conteneva la camera a gas, il crematorio e una fossa comune. Le targhette appartenevano a Deddie Zak di 8 anni, Annie Kapper di 12 anni e David Juda Van der Velde di 11 anni, che furono uccisi dai nazisti nel 1943. Solo metà della targhetta di David Juda Van der Velde è stata trovata, e mostra segni di danni da fuoco.
“I tedeschi hanno bruciato il suo corpo e sul suo collo c’era questa targhetta”, ha detto Haimi.
Ogni targhetta elenca il nome del bambino, la data di nascita e la città natale, che ha aiutato gli archeologi a saperne di più sulle loro brevi vite. Per determinare le origini dei bambini, i ricercatori hanno contattato l’Herinneringscentrum Kamp Westerbork nei Paesi Bassi, che è stato utilizzato come campo di transito durante l’Olocausto, ma ora è un centro visitatori e sito commemorativo.
Tutti i bambini provenivano da Amsterdam e potevano essere rintracciati attraverso i registri dei treni degli ebrei inviati a Sobibor dall’Europa occidentale. Alcuni dei giovani appena identificati facevano parte di una deportazione di massa di circa 1.300 bambini piccoli, dai 4 agli 8 anni, che furono separati dai loro genitori e inviati alle camere a gas appena arrivati a Sobibor, secondo la dichiarazione.
Haimi ha condotto ricerche più estese per rintracciare altre persone dai manufatti trovati nel sito di scavo. In alcuni casi, ha passato anni a cercare di identificarle.
“È come un puzzle, è un sacco di lavoro negli archivi per cercare documenti, liste, informazioni sul trasporto“, ha detto Haimi.
Orrore e macchie incancellabili
Haimi crede che lo sconcertante bilancio di morte riportato a Sobibor possa sottostimare il vero numero di morti. Ha affermato che gli ebrei arrivarono al campo su treni che non erano nelle liste usate per calcolare il bilancio dei morti; la cifra, ha precisato, non tiene conto anche di tutte le persone portate lì a piedi e in camion, o con altri mezzi.
“Non sapremo mai quanti ebrei [furono] uccisi in questo campo. Dalle dimensioni delle fosse comuni – perché sono enormi – posso dire che devono essere molto più di 250.000″, ha aggiunto Haimi.
Alcuni prigionieri furono tenuti in vita per i lavori forzati a Sobibor. Furono costretti a rimuovere i corpi delle vittime dalle camere a gas e a seppellirli nelle fosse comuni o a lavorare nelle aree amministrative e di accoglienza del campo, secondo il Museo della Memoria dell’Olocausto degli Stati Uniti.
Ma il 14 ottobre 1943 ci fu una rivolta
Circa 300 reclusi riuscirono a fuggire dalla zona di uccisione e fecero un tentativo per la libertà. La maggior parte dei prigionieri morì cercando di evadere o fu presto ricatturata. Solo 50 riuscirono a salvarsi da Sobibor e a sopravvivere alla guerra (stima a cura dell’U.S. Holocaust Memorial Museum).
I funzionari e le guardie del campo smantellarono l’area di uccisione dopo la rivolta e freddarono i prigionieri rimanenti (voce: il museo dell’Olocausto).
I nazisti liquidarono Sobibor nel novembre 1943, avendo già discusso di convertirlo per altri scopi prima della rivolta. Alla fine distrussero il campo e piantarono alberi sopra il sito (dichiarazione dell’U.S. Holocaust Memorial Museum). La triste realtà, per quante parole siano spese è che la storia ha un unico scopo, quello di non dimenticare mai uno degli orrori più colossali dell’umanità.