Edward Hopper è probabilmente riconosciuto come uno dei massimi esponenti del realismo statunitense. Nelle sue opere, che raccontano l’America dell’epoca attraverso la vita quotidiana, compaiono figure solitarie, distributori di benzina, strade illuminate da lampioni e luci al neon. Cosa spinge l’artista a scegliere questi soggetti e cosa cerca di trasmettere? Una risposta ce la da lui stesso:
“Se potessi dirlo a parole non ci sarebbe motivo di dipingere”!
Si tratta forse di quei sentimenti che spesso non siamo in grado di esprimere e che possiamo sentire guardando uno dei suoi quadri. Dipinti in cui l’attenzione non cade sul soggetto ma piuttosto sul vuoto attorno alle figure. Un nulla che incarna l’isolamento, la separazione e il distacco che rende la scena quasi troppo reale.
L’infanzia e la formazione di Edward Hopper
Ed è quella stessa solitudine che accompagna sin dalla tenera età Edward Hopper che nasce il 22 luglio 1882 a Upper Nyack, New York. Dove cresce in una confortevole casa vittoriana su una collina che domina il fiume Hudson. Solidali, ma di mentalità pratica, i genitori di Hopper lo esortano a intraprendere una carriera che gli avrebbe fornito un reddito costante. Poiché amava le barche e il disegno, Edward considerò brevemente l’architettura navale, tuttavia è più interessato alla luce e al colore che all’ingegneria. Dopo essersi diplomato al liceo pubblico di Nyack nel 1899, seguì un corso di illustratore e poi si iscrisse alla New York School of Art. Nel 1906 completa il suo percorso formativo e nei quattro anni successivi, lavora part-time disegnando illustrazioni per pubblicità. E, come consuetudine per gli studenti d’arte, fa diversi viaggi in Europa.
Il periodo parigino e il ritorno in America
Hopper arriva a Parigi nel 1907, nel periodo in cui fioriscono le nuove ed eccitanti tendenze come il post-impressionismo, Fauvismo, Cubismo e Dadaismo. Ciononostante non è interessato ai nuovi stili, perché è lanciato verso il modernismo che rappresenta bene l’opera Soir Bleu (1914). Una terrazza parigina in cui la luce salta da un soggetto all’altro per poi illuminare potentemente l’assorto pierrot. Tornato in America, dal 1913 fino alla sua morte, trascorre i mesi invernali in uno studio sul tetto al 3 Washington Square North. Un appartamento con finestre e lucernari che offrono un’illuminazione brillante e le strade circostanti forniscono soggetti per ritratti cupi della vita moderna. Scene urbane di New York come ad esempio il quadro Night Windows (1928), che esprime temi come il voyeurismo e la solitudine dell’individuo. Tendente alla malinconia, l’artista trovava conforto sulle spiagge battute dal vento.
La maturità artistica
Per la maggior parte della sua vita adulta, trascorre le estati con la moglie Josephine Nivison nel New England. Nel 1934, durante il culmine dell’era della depressione, i due coniugi decidono di costruire un cottage estivo a South Truro, al confine esterno di Cape Cod. Lo stesso Hopper ha progettato questo rifugio per sfruttare la luce scintillante del posto. Eppure sebbene questa vista è idilliaca continua ad esplorare il tema della caducità e del degrado. Dipinge strade desolate, pali del telefono sbilenchi e case vuote, come Cape Cod Afternoon (1936). Gli anni ‘40 e ‘50 portarono l’ascesa dell’espressionismo astratto negli Stati Uniti. Il realismo minaccioso del lavoro di Hopper scende in popolarità. Tuttavia il pittore continua a dipingere e nel 1942, porta a termine quello che forse è il suo capolavoro l’iconico Nighthawks.
La morte e l’eredità
Si tratta di un fermo-immagine all’interno di un ristorante, vicino al suo studio nel Greenwich Village, dove semplifica molto la scena e ingrandisce il soggetto. Accentua il disagio allungando la distanza tra gli sgabelli e rendendo le suppellettili del caffè con dettagli luccicanti. A dominare sono gli oggetti inanimati, prodotti dell’era industriale che raccontano la storia dell’alienazione urbana del XX secolo. Concetto che continuerà a ribadire in ogni altra opera fino alla morte, che lo sorprende nel suo studio di New York il 15 maggio 1967. Lascia un grande contributo all’intero mondo dell’arte, come anche al cinema che tenterà di catturare le stesse luci e ombre in netto contrasto. L’identico vuoto inquieto, l’isolamento e la separazione come nel film Psycho (1960) di Alfred Hitchcock.
by M. D. L.